In ritardo, ma spesso capita che ci arrivino. Celebre fu il mea culpa di Tony Blair, quando ammise di aver trascinato l’Occidente nella guerra contro l’Iraq sulla base di una fake news (in quel caso sulle presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein).
Oggi, a distanza di 10 anni, è l’ex ambasciatore statunitense in Siria, Robert Ford, a criticare le azioni americane, ritornando sui suoi passi. In tutti i sensi. Perché fu proprio una sua passeggiata, in mezzo ai ribelli anti-Assad della città di Hama, che sulla scia delle primavere arabe fece esplodere anche in Siria una guerra devastante. Prima civile, e poi per procura.
Quella passeggiata ebbe l’enorme valore simbolico di significare appoggio americano – e quindi di tutto il mondo occidentale – alle proteste. Poco dopo, “il buon Assad”, sino ad allora stimato interlocutore e premiato solo un anno prima da Napolitano come Cavaliere di Gran Croce, divenne l’incarnazione del male. Le legittime proteste volte alla modernizzazione del Paese, vennero inquinate da infiltrazioni fondamentaliste funzionali ad interessi stranieri. E che fecero immediatamente assumere al conflitto dei connotati atroci e truculenti. Nella narrativa occidentale, fondamentalisti e governativi venivano però equiparati, se non addirittura rovesciati nei ruoli. Assad come al-Baghdadi. Le vittime erano diventate carnefici e viceversa.
Era iniziata la guerra dei gasdotti, con l’opposizione di Assad al transito di quelli qatarioti per la Siria che avrebbe penalizzato i suoi principali alleati, Russia e Iran.
Orde di mercenari assoldati dalle grandi potenze regionali sunnite, con la benedizione della Nato, strisciarono senza sosta in Siria e in Iraq. Sotto gli occhi di Erdogan, diedero vita all’ISIS. Che presto divenne sinonimo di devastazioni, eccidi, atrocità e accanimento contro le millenarie comunità cristiane, yazide, alawite, sciite. Quando anche Damasco, nel 2015, era ormai in procinto di cadere, con i ribelli che ne assalivano i primi sobborghi, la Russia scese in campo. Per difendere il suo storico alleato e la sua unica, preziosissima base navale nel Mediterraneo.
La storia, da allora cambiò. L’Occidente intero, per la prima volta, di fronte ad un massiccio intervento militare russo legittimato dal diritto internazionale, non ebbe la forza e la voglia di reagire sostenendo i fondamentalisti in una guerra lurida di cui aveva solo di ché vergognarsi. Avevamo lasciato sterminare migliaia di nostri correligionari da macellai vestiti di nero che professavano l’Islam più violento e retrogrado. Equiparandoli ad un governo pieno di difetti, ma che garantiva in ogni caso l’esistenza della Siria laica e multiconfessionale.
Oggi Putin è il nuovo mattatore del Medio Oriente; simbolo della lungimiranza russa. Colui che salva Assad e rassicura Israele; tratta con i sauditi dopo averli umiliati; fa sedere allo stesso tavolo gli storici rivali “ottomani” e “persiani”. Di fronte all’imbarazzante facilità americana nel dar fuoco ad un’intera regione, seminando morte e distruzione per milioni di persone, oggi la Siria, come i suoi vicini, guarda sempre più verso Mosca.
Washington e Bruxelles, in fin dei conti, continuano a stritolarne l’economia con assurde sanzioni frutto della catalogazione in “stati buoni” e “stati canaglia” dell’era Bush. Prima dell’inizio della guerra, l’Italia era il primo partner europeo per Damasco; oggi perdiamo affari e commesse grazie ai nostri alleati. Poveri noi.
F.K.