In un tempo in cui gli artisti assumono sempre più il ruolo di manager e professano una business-art, Francis Bacon, tra i grandi del secondo Novecento, incarna l’immagine dell’ “artista maledetto“: la sua vita, irrequieta e segnata dalla malattia, si riflette sulla sua attività artistica.
Francis Bacon nasce a Dublino il 28 ottobre 1909 da una nobile famiglia inglese. Fin da bambino, ama indossare abiti femminili e questa passione fa reagire il padre, uomo dispotico e iracondo, con cui vivrà sempre un rapporto conflittuale. Negli anni dell’adolescenza, l’omosessualità emergente del giovane Bacon ha come conseguenza il suo allontanamento da casa e la rottura dei rapporti con la famiglia.
Così, nel 1926, Francis Bacon inizia a muoversi alla deriva tra le città di Londra, Berlino e Parigi sopravvivendo grazie ad una serie di lavori occasionali e a incontri furtivi con uomini più anziani. Proprio durante questi soggiorni, entra in contatto con alcune immagini e opere d’arte che influenzeranno il suo linguaggio artistico: l’urlo dell’infermiera ne “La corazzata Potemkin”, il dolore che domina la Seicentesca “Strage degli innocenti” di Poussin e la “Crocefissione” di Cimabue; non a caso il tema della crocifissione sarà una costante nelle sue successive opere, d’esempio è la nota “Crucifixion” (1933).
L’evento che fa approdare Bacon all’arte è la visita, nell’estate del 1927, ad una mostra parigina di Picasso, i cui disegni saranno d’ispirazione per l’esordio cubista dell’artista irlandese.
Nel tardo 1928, Bacon si stabilisce definitivamente a Londra e si guadagna da vivere lavorando come designer e arredatore di interni; affitta un garage in South Kensington e lo converte in studio, in quello studio che, dopo la sua morte, sarà trasferito da Londra alla Hugh Lane Gallery di Dublino.
Risale al 1934 la sua prima mostra personale, che si dimostra un clamoroso insuccesso, dopo la quale, a causa della sua insoddisfazione costante, distrugge gran parte dei lavori realizzati fino a quel momento.
Il trittico “Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion” (1944), esposto alla Lefevre Gallery di Londra, rappresenta la svolta di Bacon nella scena artistica britannica e il punto di partenza della sua ascesa che vede come legittimazione la retrospettiva alla Tate di Londra (1962) e come momento culminante la vendita all’asta di Christie’s di “Three Studies of Lucian Freud” (1969) per 142 milioni di dollari nel 2013.
Gli anni in cui opera Francis Bacon sono gli anni dell’abbandono della pittura figurativa: gli artisti si esprimono attraverso i gesti istintivi che caratterizzano l’Informale europeo e l’Espressionismo astratto americano. Bacon, e gli artisti della Scuola di Londra, si muovono verso una direzione opposta e professano un ritorno alla figura.
Nessun artista potrebbe raccontare meglio di Francis Bacon il nostro presente; la sua attualità risiede proprio nella riabilitazione che mette in campo, in maniera ossessiva, della figura umana: la figura baconiana è una figura deformata, animalesca, una figura sola e in trappola in stanze disadorne.
I corpi del pittore britannico vivono un’eterna agonia, mossi da un tormento senza sosta che li scuote e li deforma dall’interno.
Sono figure che esprimono la condizione esistenziale dell’uomo moderno dilaniato dalla Seconda guerra mondiale e di un omosessuale in un tempo e in un luogo in cui è esserlo è reato.
La violenza e la brutalità del suo linguaggio – Bacon parlava di “estetismo dell’angoscia”- derivano dalla sua lotta interiore che si manifesta, forse, con un eccesso di verità, ma che rende questi sentimenti, e queste immagini, immortali.
Bacon imprime sulla tela la condizione umana del Novecento, ma contemporaneamente, non dà forma solo al suo sentire, ci parla di un tempo che è sempre presente.
Possiamo considerare “Painting” (1946), l’enorme tela oggi esposta al MoMA, il manifesto della poetica di Francis Bacon. L’artista affronta un tema escatologico con un’opera di forte impatto visivo ed emozionale in cui l’uomo, inserito in una struttura simil gabbia, viene associato ad una carcassa di bue per sottolineare il destino comune dell’animale e dell’essere umano: il primo al macello e il secondo al cimitero avranno il medesimo epilogo.
“Siamo potenziali carcasse” ripeteva spesso l’artista, ed è proprio il voler rappresentare la caducità dell’uomo e il suo destino che si trova al centro dei lavori di Francis Bacon.
Non era un intento narrativo quello del pittore, il suo fine era di sospendere il moto incessante della vita ponendo sotto gli occhi dell’osservatore la sua visione del mondo, di un mondo privo di sensibilità.
Francis Bacon in un’intervista a David Sylvester dichiara di aver sempre sognato di dipingere il sorriso, ma di non esserci mai riuscito.
Diventato ormai un pittore di fama mondiale, muore a Madrid il 28 aprile 1992.
Andrea Villa