Lo ripeteremo spesso: le relazioni internazionali tra stati poggiano anche sul diritto internazionale, ma è sempre, e ancora oggi, l’uso della forza militare il fattore decisivo per dirimere questioni spinose.
Prova ne è quello che è accaduto in Libia, dove un moribondo al-Serraj, Primo ministro riconosciuto dal “mondo che conta”, stava per essere sconfitto dal più battagliero Haftar, leader della Cirenaica (la parte Est del Paese). A salvarlo non sono state certo le parole dell’ONU e, tantomeno, i silenzi di Trump e di buona parte dell’Occidente; figurarsi la posizione ondivaga dell’Italia. Formalmente con Serraj, ma che strizzava l’occhio ad Haftar mentre dilagava verso Tripoli.
Sono state le armate del Turco, accorse in pompa magna e cariche di armamenti. Questo ha impresso un cambio di rotta nel conflitto libico. La poderosa avanzata di Haftar verso Est è stata arrestata e, ora, difficilmente proseguirà. Anzi, una soluzione politica ed un cessate il fuoco si delineano all’orizzonte.
Come è giusto che sia, Erdogan ha presentato il conto ad al-Serraj, il quale non ha chiesto sconti e ha pagato. Il risultato è che la Turchia, da oggi, avrà il possesso per 99 anni della base navale di Misurata (esattamente in mezzo al Mar Mediterraneo) e della base aerea di al-Watyia, a ridosso del confine con la Tunisia.
Una vittoria strategica per il Sultano: dopo la sconfitta in Siria, addolcita solo in extremis, riporta la Turchia ad essere protagonista nel cuore del Mediterraneo, dopo oltre un secolo di assenza. Quando, ironia della sorte, al tramontare dell’Impero ottomano era stata cacciata dalla Libia proprio dall’Italia di Giolitti.
L’Italia che, oggi, la forza non la usa più; e quindi perde potenza, prestigio e denari. E che dopo aver permesso che il suo miglior alleato nel Mediterraneo, Gheddafi, venisse massacrato senza muovere un dito, oggi aspetta le briciole da chi non si fa, invece, alcun problema a tutelare i suoi interessi anche con le armi, se necessario.
Il sospetto, è che vista l’evoluzione del conflitto, se in Libia salveremo pozzi petroliferi e qualche commessa, dovremo ringraziare Erdogan.