Il 30 luglio 2021 ricorre la Giornata Mondiale dell’Amicizia e per l’occasione ricordiamo alcune grandi amicizie che, con le loro vicende, hanno segnato e modificato il corso della storia dell’arte.
L’arte che conosciamo oggi non sarebbe tale se, nel corso della storia, non si fossero creati legami personali e professionali tra le diverse personalità: gli incontri, gli scontri, le frequentazioni -brevi o durature- e le collaborazioni tra artisti hanno fatto sì che gli stili e le tecniche si contaminassero fino al raggiungimento di un’espressione artistica altrimenti inesistente.
È risaputo che gli artisti si riunirono da sempre in movimenti o tendenze, aggregazioni di personalità che condividevano ideali, pensieri e ricerche, ma alcune autentiche amicizie hanno segnato e plasmato la carriera di protagonisti del XIX e del XX secolo.
Un esempio è la celeberrima e dolorosa amicizia tra Paul Gauguin e Vincent van Gogh.
Dopo l’incontro avvenuto nel 1886, i due pittori vissero un periodo insieme nella famosa “Casa Gialla” ad Arles, in Provenza, alla ricerca di una vita semplice e lontana dalla mondanità parigina. Fu un periodo tormentato, segnato da incomprensioni e litigate furiose a causa delle loro differenti personalità: l’indole testarda e il carattere ombroso di van Gogh inevitabilmente urtavano con l’orgoglio di Gauguin.
La complicata convivenza sfociò in un gesto estremo: il taglio dell’orecchio lo costrinse, successivamente, alla reclusione in un manicomio.
Nonostante il complicato rapporto personale, la vita in comune caratterizzò le rispettive espressioni artistiche: i due imparavano l’uno dall’altro e si arricchivano a vicenda. In questi giorni ad Arles, Vincent realizzò le sue opere più famose, come “La camera di Vincent” e la “Notte stellata sul Rodano”, ma non vendette mai una tela. L’ambiente che venne a crearsi era spiacevole e malsano e ciò influenzò la produzione di Gauguin, che risultava essere, invece, poco fruttuosa.
I due artisti si allontanarono sempre più a causa delle tensioni e delle crisi psichiche del pittore olandese; il distacco totale si ebbe quando Gauguin realizzò, poco prima di lasciare Arles, un ritratto di van Gogh mentre dipingeva girasoli. L’opera offese Vincent, in quanto non rendeva omaggio alla sua arte, ma rappresentava solo semplici e reali fiori.
L’animo tormentato di Vincent van Gogh e l’insoddisfazione di Paul Gauguin segnarono la fine della loro amicizia e della loro intesa artistica.
New York, 1915, una partita improvvisata di tennis rappresenta l’incontro tra Man Ray e Marcel Duchamp e l’inizio di quell’amicizia che durerà tutta la loro esistenza.
La differenza linguistica per i due non rappresentò mai un problema. Duchamp e Man Ray, tra i fondatori del Dadaismo americano, erano legati da un forte bisogno di indipendenza e di libertà -esistenziale e artistica- e, non meno importante, dalla passione per gli scacchi.
Il voler superare le forme artistiche canoniche e l’interesse per gli oggetti quotidiani, li spinse a sperimentare tecniche diverse e innovative; nelle loro carriere si alternano, infatti, pittura, scultura, fotografia, cinema, e i famosi ready-made, di cui Duchamp, che amava definirsi un “anartista”, fu il padre inventore.
Oggetti provenienti dal mondo quotidiano sono soggetti ad una trasfigurazione che li rende opere d’arte: estrapolati dal loro contesto naturale perdono la loro funzione originaria ed entrano in una dimensione altra, quella dell’arte; questa metamorfosi avviene grazie all’intervento dell’artista che li definisce in tal senso.
Ecco che Man Ray, guardando l’amico, iniziò a sperimentare questo nuovo linguaggio e diede vita ad opere fondamentali, come “Cadeau”, un ferro da stiro a cui è stata aggiunta una fila di quattordici chiodi.
I ready-made rispondevano alla volontà degli artisti di creare opere d’arte provocatorie, in grado di scandalizzare il pubblico e far parlare di sé.
Oltre alle medesime idee, i due rivoluzionari condivisero anche alcune opere. Un esempio è “Anémic Cinéma” film sperimentale frutto della loro costante intesa.
Man Ray, inoltre, divenne il fotografo ufficiale dell’artista francese: immortalò le sue opere, come lo scatto “L’allevamento di polvere sull’istallazione Il Grande Vetro” e lo ritrasse più volte nel suo alter ego Rrose Sélavy.
Nel 1921 i due si spostarono insieme nella capitale francese. Tornarono negli Stati Uniti solo per sfuggire dalle persecuzioni naziste durante il conflitto mondiale.
Sono tantissime le amicizie che possono essere menzionate, come quella tra Lucian Freud e Francis Bacon o quella tra Jackson Pollock and Willem de Kooning, ma quella che senza dubbio fu più determinante per la carriera artistica di un personaggio, tra i più importanti del secolo scorso, fu quella tra Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat.
Una conoscenza intensa che durò per tutti gli anni Ottanta, durante la quale, i due artisti newyorchesi condivisero qualsiasi cosa, perfino le opere d’arte.
“È solo uno di quei ragazzi che mi fanno impazzire”: le parole che Warhol scrisse sul proprio diario dopo aver incontrato per la prima volta Basquiat. Ma, il padre della Pop Art cambiò presto idea riguardo il giovane artista haitiano.
Galeotta fu una cartolina! L’incontro tra i due artisti avvenne in un ristorante di SoHo, in cui Basquiat entrò per vendere le cartoline che realizzava intervenendo su immagini preesistenti. Warhol comprò alcune sue opere e da questo istante la vita del giovane artista cambiò.
Andy Warhol inserì Basquiat nell’ambiente artistico newyorchese, grazie a lui iniziò a frequentare le gallerie più esclusive e i club più elitari – il Club 57, lo Studio 54 e il Mudd Club- in cui incontrò, tra gli altri personaggi di spicco della scena artistico-culturale di New York, Madonna e Keith Haring.
Proprio in quegli anni di forte fermento artistico, i due realizzarono una serie di opere a quattro mani, come “Untitled 1984” o l’enorme “Untitled 1984-1985”.
In queste tele, i differenti linguaggi sono perfettamente riconoscibili: le immagini che parlano della società dei consumi di Warhol si completano grazie agli interventi rapidi, violenti e impulsivi di Basquiat.
Ma, quello che interessava davvero non era il risultato artistico, ma la collaborazione tra i due grandi del mondo dell’arte, un “pazzo matrimonio” la definiva l’assistente di Warhol.
La serie di opere fu esposta in una mostra, il cui manifesto ritraeva Warhol e Basquiat come avversari in un incontro di boxe; non a caso, quello sport era per Basquiat un vero e proprio stile di vita e avvertiva l’arte come un ring su cui boxare.
Questa unione vincente, una fusione di sperimentazione creativa e sincera amicizia, permise al mondo di conoscere un artista tormentato e pieno di talento come il giovane Jean-Michel Basquiat.
Andrea Villa