Uno studio di Fondazione Nordest ci dice che lo smart working non è particolarmente apprezzato dalle imprese venete, perché fa crescere i costi, ma non l’efficienza e, anche i dipendenti, a conti fatti, non lo approvano fino in fondo. Certo, se l’emergenza pandemica, dovesse richiederlo, si continuerà ad applicarlo, ma rimarrà comunque una soluzione complementare.
Lo studio, a quasi un anno dall’inizio della diffusione del virus, si è focalizzato sui cambiamenti indotti nel sistema industriale, partendo da una ricerca sulle imprese, durante la pandemia, condotta dall’Istat, che ha voluto dedicare uno speciale approfondimento al lavoro “agile”.
Anche a livello nazionale, il giudizio complessivo è negativo, ma in Veneto assume una connotazione ancor più marcata, in considerazione sia della dimensione media delle imprese, che della scarsa cultura digitale, oltreché dell’inaffidabilità delle reti. Nell’analisi dei numeri, rilevati dalla Fondazione, delle quattro regioni del Nordest, le aziende venete che hanno usufruito dello smart working sono il 40%, contro l’oltre 60% dell’Emilia Romagna. E anche nell’osservazione dello scenario dei prossimi mesi, le competenze digitali assumeranno maggior importanza per quasi il 37% degli Emiliano-Romagnoli, mentre solo per il 25% dei Veneti.
Il lavoro agile è divenuto la cifra distintiva del momento che stiamo vivendo: le aziende hanno dovuto trovare nuove modalità di formazione e di relazione, come del resto è accaduto anche nel mondo della Scuola e dell’Università. Hanno dovuto ripensare e riorganizzare il lavoro con modalità e strumenti, ancora poco diffusi. E non si tratta solo degli strumenti, ma di riprogettare le modalità, i tempi e gli spazi, garantendo operatività, vigilando sulla sicurezza dei dipendenti e contribuendo a ridurre i rischi da contagio.
In tempi stretti, il sistema delle imprese ha dovuto avviare una rivoluzione del lavoro, che era stata spesso affrontata, più che altro a livello teorico, su come ridurre gli spostamenti e l’inquinamento o su come conciliare famiglia e lavoro. Gli effetti, dai risultati pubblicati dall’Istat, dopo aver intervistato oltre 9mila imprese venete, sono che, il 35% delle aziende ha comunque riscontrato un calo della produttività; il 23% un aumento dei costi operativi e il 37% un peggioramento dell’efficienza dei processi. E, solo il 5% ha riscontrato una crescita.
Silvia Oliva, segretaria alla ricerca di Fondazione Nordest suggerisce vari spunti di riflessione: “Otto volte su dieci, le imprese dicono di non avere alcuna mansione da svolgere in lavoro agile e un altro 10% dice di poter sfruttare lo smart working per svolgere solo il 25% delle funzioni”.
E questo è in parte comprensibile con la grande presenza in Veneto di unità manifatturiere, ma diventa sempre più necessaria un’evoluzione culturale dei manager. Quindi, “la propensione a riutilizzarlo in caso di bisogno è approvata dal 50% degli intervistati, ma se non cambia la cultura di dirigenti e lavoratori, rischia di rivelarsi controproducente per la produttività”.