Ieri il presidente di Confcommercio Veneto, Patrizio Bertin, è intervenuto a distanza alla conferenza per la presentazione dello studio, promosso da Unioncamere, su “L’impatto del Covid-19 sul commercio al dettaglio”, all’incontro era presenta anche il presidente dell’ente camerale Mario Pozza.
L’analisi presentata riguarda le ricadute causate dal lockdown del marzo scorso, che ha comportato la chiusura di molti negozi, e quindi il cambiamento nelle abitudini di acquisto della popolazione. I dati mostrano che ad abbassare le serrande sono stati 25 mila esercizi commerciali, e quasi la metà erano legati al settore tessile-moda-calzature, con lo stop che ha costretto in cassa integrazione quasi un dipendete su due.
Ma non tutti hanno pagato la crisi, se infatti il “no food” segna una contrazione del -13,5%, quello dei beni alimentari ha visto una crescita del +3,1%, dato da non sottovalutare l’impennata nell’uso dei canali di vendita online con +29,2%.
“I numeri sono impressionanti e non possono che preoccupare. Riflettono la drammaticità di questa situazione emergenziale. Il futuro rischia di essere ancora di più a tinte fosche, in mancanza di un’inversione di tendenza e quando a marzo finirà il blocco dei licenziamenti. Dobbiamo però cambiare approccio di fronte alle trasformazioni in atto e al clima d’incertezza. Le difficoltà possono diventare opportunità. Questa pandemia deve far prendere coscienza che la gente pensa e acquista in maniera diversa. Le imprese sono chiamate a riposizionarsi, ad esempio devono puntare molto sulla digitalizzazione”.
Secondo Confcommercio da inizio del 2020 i consumi di residenti e turisti si sono ridotti nella nostra Regione di oltre il 15% (con una flessione media nazionale di 11 punti), e secondo i dati di Veneto Lavoro questo si traduce nella perdita di 2.100 posti di lavoro del settore. Inoltre la diminuzione di fatturato e le difficolta spesso richiamo associazioni criminali pronte a fare affari per poco: in Veneto sarebbero 312 (il 15%) quelle a rischio infiltrazione, numeri allarmanti.
Quindi il presidente Bertin ha lanciato un forte appello: “Vorremmo che la politica ci ascoltasse, ragionasse su questo, che fosse preparata ad agire. Invece sembra distratta. Non ci bastano i sussidi, che peraltro non sono sufficienti. Serve un Piano generale di ripartenza dell’economia. E non ci interessano i litigi di Palazzo, ma capire come viene rimesso in moto il Paese, adesso. L’Italia perde competitività e attrattività, non possiamo permetterci errori e ritardi. Talvolta basta copiare le buone pratiche di altri Paesi. La detassazione e le nuove infrastrutture in tempi reali, ad esempio i collegamenti col Brennero e l’alta velocità Padova-Bologna, sono per le imprese una priorità. Alla Regione chiediamo un Tavolo di confronto con le associazioni di categorie. Allo Stato diciamo che bisogna ribaltare l’impostazione. Il Recovery found, che di fatto è un debito, deve diventare un investimento per il rilancio, altrimenti il Paese non ce la farà”.