Il Medio Oriente non cambierà più di tanto, con i nuovi accordi di “normalizzazione” che stanno venendo siglati da Israele e le “petromonarchie” arabe, sotto l’egida americana.
Certo, il clamore mediatico è imponente e i titoli dei giornali altisonanti; così come sono cariche d’enfasi le (oramai famose) autocelebrazioni del presidente americano Trump. Quanto mai utili in tempi di campagna elettorale. Ma nonostante tutto, la sostanza del Medio Oriente non cambierà: i vecchi amici resteranno amici, i vecchi nemici saranno ancora più nemici e i Palestinesi saranno ancora una volta abbandonati al loro destino.
La causa palestinese è infatti al centro della questione mediorientale: è il motivo per cui tutti i paesi arabi della regione sono, in teoria, in un perenne conflitto latente con Israele. Colpevole di aver usurpato i territori della Palestina, averne estromesso la popolazione e causato un disastro umanitario che si trascina ancora oggi, con gli effetti nefasti che tutti conosciamo.
Ma ai palestinesi, da questi accordi “di pace”, non verrà in tasca nulla; l’unica cosa loro concessa è una moratoria sulla costruzione di nuovi insediamenti israeliani (e quindi esproprio di nuova terra). Niente stato palestinese, niente riconoscimento internazionale. Una brevissima tregua e basta; questa volta dichiaratamente con il sostegno di alcuni stati arabi, sulla carta nemici dell’”entità sionista” e alleati dei “fratelli palestinesi”, nella pratica ipocriti alleati di ferro di Tel Aviv e Washington. Così il Bahrein e così gli Emirati Arabi. Satelliti della grande madre Arabia Saudita, che resta per il momento nell’ombra e muove le fila di questi accordi; vagliando la risposta delle masse arabe della regione di fronte al riconoscimento di quello che per decenni incarnava il male assoluto per i musulmani, Israele.
La costruzione della nuova “NATO Araba” – come si sta definendo la nuova alleanza tra questi vecchi amici, che mai si sono scontrati tra loro – più che un accordo di pace suona in realtà come un ulteriore avvertimento all’Iran; il grande nemico degli Stati Uniti e delle monarchie assolute sunnite del Medio Oriente. Fiaccato dalle sanzioni internazionali e costretto a mantenere coi denti e con le unghie l’asse della resistenza sciita che si snoda tra Iran, Iraq, Siria e Libano.
Cosa toccherà alla Turchia, paese NATO in tensione con molti stati arabi, e occasionale alleata di Russia e Iran, lo si scoprirà in un futuro non molto lontano. L’evoluzione degli scenari nel Mediterraneo orientale e nella Libia, consentiranno di capire come Erdogan reagirà a questa nuova alleanza da cui, per il momento, è stato estromesso.
Federico Kapnist