Ad un anno dall’assassinio del generale delle forze Quds iraniane, Qassem Soleimani, artefice della sconfitta dell’ISIS, non si placa lo scontro a bassa intensità fra Teheran ed il blocco occidentale trainato dagli Stati Uniti.
Il paese persiano, dopo un voto del parlamento, ha infatti comunicato di voler riprendere l’arricchimento dell’uranio fino al 20%. La decisione arriva come risposta alle sanzioni applicate dall’amministrazione Trump – ed il pesante contraccolpo economico da esse provocato – e soprattutto all’omicidio mirato dello scienziato Mohsen Fakhrizadeh, assassinato due mesi fa dentro i confini del Paese, probabilmente per mano israeliana.
L’abbandono da parte di Washington del JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action, l’accordo sul nucleare iraniano firmato da Stati Uniti, Russia, Cina, Germania, Francia e Iran) a seguito dell’elezione di Donald Trump, insieme ad una politica fortemente filo-israeliana e anti-iraniana, ha provocato un’ondata di risentimento anti-occidentale che ha spinto gli ayatollah, stritolati dalla crisi economica, a reagire sotto il profilo diplomatico e militare.
Secondo l’accordo (ora non più in vigore) Teheran non avrebbe mai dovuto superare il 3,67% di arricchimento, mentre già oggi è al 4,5%. La percentuale per ottenere armamenti atomici è del 90%, ma la paura occidentale è che in questo modo l’Iran, dichiarando apertamente una determinata percentuale di uranio, possa raggiungere invece una soglia pericolosa omettendo alcuni dati.
Grande speranza è ovviamente riposta nel nuovo corso americano che a breve si inaugurerà, con Joe Biden presidente degli Stati Uniti al posto di Trump. Biden ha già dichiarato di voler imprimere un cambio di direzione nei rapporti tra Washington e Teheran, con la possibilità di riportare in vigore l’accordo che era stato il capolavoro diplomatico di Barack Obama, quando Biden era vice-presidente.
I tempi però corrono; e i 4 Paesi firmatari del JCPOA sperano che da Washington arrivino segnali incoraggianti prima che si tengano le elezioni in Iran. Dalle quali, a causa del risentimento causato dalle politiche degli Stati Uniti, potrebbero trarne vantaggio i falchi, rendendo quindi ancor più difficili i rapporti tra Iran e la comunità internazionale.
Federico Kapnist