Sulla scia della decisione presa da Washington, l’Italia si ritira dall’Afghanistan. Dopo quasi 20 anni e, soprattutto, 53 militari morti, il tricolore viene ammainato nella nostra base di Herat, nell’Est del Paese. In una cerimonia dal sapore agrodolce che ha visto presenti importanti autorità nazionali – dal ministro della Difesa, Guerini, al capo di stato maggiore dell’esercito, Vecciarelli – l’Italia saluta quindi questa intricata, violenta, pericolosa e paesaggisticamente splendida terra centrasiatica.
A rovinare ulteriormente la cerimonia, lo sgarbo degli Emirati Arabi; che, evidentemente risentiti dello stop alla vendita d’armi emanato da Roma nei loro confronti, hanno negato lo spazio aereo e l’atterraggio al C-130 di Stato che trasportava autorità e giornalisti. Provocando grande ritardo.
Un addio che non sa per niente di lavoro compiuto; anzi. Il Paese si trova sempre più dilaniato dalla violenza; con il governo centrale di Kabul incapace di garantire la più essenziale sicurezza nella stessa capitale.
Il caos – e quindi i Talebani – spadroneggiano nel Paese forse ancor di più che nel 2001. Quando, sulla scia dei tragici eventi dell’11 settembre e dei sospetti che il leader di al-Qaeda, Osama bin-Laden, fosse nascosto in Afghanistan, gli Stati Uniti avviarono una guerra frettolosa e priva di strategie. Coinvolgendo gli alleati più fedeli.
Oggi, dopo circa 80.000 morti tra i due schieramenti e soprattutto una moltitudine di vittime civili (difficilmente calcolabili ma che oscillano tra le 150.000 e i 300.000), l’Occidente si ritira. Lasciando l’Afghanistan al suo tragico destino.
Federico Kapnist