Sin dai tempi della Guerra Fredda e ancora di più della graduale distensione tra Stati Uniti e Russia, uno dei principali argomenti da considerare al fine di tutelare la pace nel mondo – e soprattutto evitare un olocausto nucleare – è stata la gestione degli enormi arsenali atomici posseduti dalle due superpotenze.
Un tema delicato: sviluppatosi con il nobile fine di salvaguardare la sopravvivenza della razza umana, ma che recava intrinseco il rischio strategico di lasciare sguarnito uno dei due Paesi in caso di attacco da parte dell’avversario. Tutto ruota, infatti, attorno alla logica del “first strike”: ciascuna delle due Potenze voleva (e vuole, naturalmente) essere sicura di poter reagire ad un eventuale attacco nucleare effettuato dalla controparte. In estrema sintesi.
Questo elemento imprescindibile, difficilissimo da mantenere al passo con il continuo e rapido progresso tecnologico, ha portato negli anni scorsi a sottoscrivere diversi trattati e accordi che ponessero un freno al proliferare di armi nucleari, soprattutto a lunga gittata: ovvero quelle armi dall’altissimo potenziale distruttivo e con capacità di viaggiare per migliaia di chilometri.
Il tema è difficile, vasto e contorto, anche per gli addetti ai lavori: ma è così importante da dettare più d’ogni altra cosa l’agenda di politica estera a Mosca e a Washington.
Ora, il trattato che negli ultimi anni ha regolato questa materia – lo START, STrategic Arms Reduction Treaty – firmato a Praga nel 2010, sta giungendo al termine. Questo accordo prevede il dispiegamento – e quindi il potenziale rapido utilizzo, non la teorica disponibilità – di un massimo di 1500 testate nucleari, caricate a loro volta su missili balistici intercontinentali (ICBM), missili balistici sottomarini (SLBM) e aerei bombardieri. Il tutto, naturalmente, con la possibilità per ambo le parti di ispezionare l’avversario, con modalità rigide ma in grado di determinare il rispetto o meno del regolamento.
Con lo START in scadenza, la paura è che possa ripartire una corsa agli armamenti nucleari con conseguente recrudescenza di attriti tra Russia e Stati Uniti, soprattutto nei molteplici teatri dove basi missilistiche strategiche tutelano una parte e mettono, inevitabilmente, in pericolo l’altra.
Putin ha proposto un rapido ed immediato rinnovo di un anno del Trattato, nella speranza che l’attenuarsi della crisi legata al Covid possa facilitare gli incontri fisici, indispensabili per materie di tale delicatezza, per trovare poi una soluzione più a lungo termine. Trump ha preso tempo; con le imminenti elezioni presidenziali, non ha voluto sbilanciarsi in quello che è un argomento cruciale nella definizione della futura politica estera americana e del suo mantra “Make America Great Again”.
Le prossime settimane saranno cruciali non solo per il futuro politico dell’attuale Presidente; ma soprattutto per un tema di sicurezza internazionale a cui tutti guardano con rispetto e timore.
Federico Kapnist