“Un Paese che non controlla come vengono spesi i soldi pubblici non è civile. Ne consegue il massimo rispetto per le funzioni dei magistrati della Corte dei conti. Siamo pure persuasi che le ragioni alla base della loro decisione di rifiutare il visto ai finanziamenti pubblici per il vaccino italiano anti-Covid, cui sta lavorando la ReiThera di Castel Romano, avranno qualche fondamento”. A scriverlo su Repubblica il giornalista Sergio Rizzo in un articolo dal titolo “Il Paese del cavillo”. Perché quella di ReiThera, che speriamo non sia un’altra brutta storia all’italiana, è proprio l’emblea della puntigliosità dello Stato.
In una nota, la Corte dei Conti ha spiegato che i chiarimenti forniti dal ministero dello Sviluppo economico non hanno superato le osservazioni presentate e quindi ha negato l’approvazione dell’accordo sottoscritto il 17 febbraio 2021 da ReiThera, dal Mise e da Invitalia. Quest’ultimo prevedeva un investimento complessivo di 81 milioni di euro, in parte erogati dallo stato e in parte da ReiThera.
Il decreto esaminato dalla Corte dei Conti aveva messo a disposizione 49 milioni di euro di cui 41,2 milioni a fondo perduto e 7,8 milioni con un finanziamento agevolato. C’erano stati anche altri investimenti pubblici: la Regione Lazio aveva stanziato 5 milioni di euro, il Centro nazionale delle ricerche altri 3, mentre ReiThera aveva garantito 12 milioni di euro, soprattutto per l’ampliamento dello stabilimento di Castel Romano. Insomma era un progetto nel quale tante credevano e per questo avevano investito. E i primi risultati erano anche stati incoraggianti.
L’inizio dello sviluppo del vaccino di ReiThera era stato accolto con molto entusiasmo. La prima fase della sperimentazione era iniziata a luglio 2020, quando l’AIFA, l’Agenzia italiana del farmaco, aveva autorizzato la prima fase condotta all’istituto Spallanzani di Roma e al Centro Ricerche Cliniche di Verona.
Ma adesso il blocco del finanziamento statale a ReiThera rischia di fermare la sperimentazione del vaccino sviluppato dalla società di biotecnologie che ha sede a Castel Romano, nel comune di Roma. Al momento la sperimentazione è arrivata alla fase 2: sono stati reclutati già mille volontari a cui sono state somministrate due dosi del vaccino, ma la fase decisiva sarebbe stata la terza, in cui era previsto il coinvolgimento di diecimila persone. Per completarla servirebbero ingenti fondi, che però adesso non ci sono.
E l’amarezza è tanta, soprattutto tra i 25 gruppi di ricercatori che da ormai un anno lavorano al progetto, e la paura è che anche le persone e i volontari che si sono sottoposti al vaccino perdano fiducia nello studio italiano, credendolo non all’altezza. Il rischio, adesso, è che qualche realtà straniera arrivi in Italia e acquisti tutto il lavoro fin qui svolto, se ne prenda il merito e inizi a commercializzare un vaccino sviluppato dai nosttri centri di ricerca. Speriamo che le cose non vadano così e che non sia un’altra occasione persa per la Ricerca italiana.
L.M.
Facebook Comments