Nei giorni in cui la Siria festeggia la riapertura del suo aeroporto internazionale, il sultanato dell’Oman, Paese posto a Sud-Est della penisola arabica, diventerà il primo stato del Medio Oriente ad inviare nuovamente un proprio ambasciatore a Damasco.
La notizia, apparentemente banale, riveste invece un grande valore simbolico: per tutta la durata della guerra in Siria – iniziata con le prime proteste del 2011, deflagrata nel 2014 e avviatasi ormai verso la conclusione – i Paesi arabi avevano chiuso le proprie rappresentanze diplomatiche presso Damasco, richiamando in patria gli ambasciatori.
La scelta era stata dettata in alcuni casi – Arabia Saudita, Emirati, Bahrein e altri ancora – dal boicottaggio contro il governo di Assad e dal sostegno ai ribelli islamisti; mentre in altri, come quello dell’Oman, era prevalsa la volontà di mettere in sicurezza il proprio personale diplomatico quando le violenze della guerra erano arrivate a coinvolgere anche i quartieri più centrali della capitale Damasco.
L’Oman, come il Kuwait, negli anni si è distinto per una politica internazionale neutrale; e cioè di equidistanza fra il blocco capitanato da Arabia Saudita ed Israele, da una parte, e Siria e Iran, dall’altro. Retto da governanti saggi e capaci di garantire pace e stabilità, ha evitato di farsi coinvolgere nei conflitti regionali cercando, piuttosto, di stringere accordi vantaggiosi con qualunque attore potesse portare beneficio all’economia del Sultanato.
Muscat (capitale dell’Oman) non aveva mai troncato i rapporti con Damasco; neanche nei periodi peggiori della guerra. E anzi, ancora nel 2017, quando il conflitto aveva preso una piega decisamente positiva per Assad e i suoi alleati, aveva stretto con la Siria una serie di accordi economici ed energetici.
Il ministro degli Esteri siriano, Muallem, ha espresso “orgoglio” per la politica estera adottata dall’Oman. Un ulteriore passo in avanti rispetto alle timide riaperture delle proprie ambasciate da parte di Emirati e Bahrein; i quali, però, per il momento si sono limitati all’invio di semplici funzionari e non di veri e propri ambasciatori.
Federico Kapnist