Le polemiche e le proteste seguite alle elezioni presidenziali in Bielorussia, tenutesi lo scorso 9 agosto, non si placano e conoscono, anzi, un nuovo capitolo.
L’Unione Europea ha infatti trovato un accordo per imporre sanzioni alla Bielorussia. Il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, è riuscito a mettere d’accordo i 27 Paesi membri stilando una lista di 40 personalità eminenti bielorusse che saranno a breve colpite da limitazioni, presumibilmente su libertà di spostamento e disponibilità finanziarie, all’interno dell’Unione.
Dietro alla decisione, il mancato riconoscimento del risultato delle elezioni che hanno visto trionfare il Presidente uscente Lukashenko con oltre l’80% dei voti. E che con il sospetto di brogli e le vastissime proteste, per lo più pacifiche, che hanno coinvolto il Paese richiedendo nuove consultazioni sotto controllo internazionale, hanno portato nelle ultime settimane la Bielorussia sotto i riflettori.
Da un lato l’Unione Europea, che chiede immediatamente un accordo con le forze di opposizione ed il rispetto del volere delle piazze. Dall’altro lo storico alleato, la Russia, giunta da tempo ai ferri corti con l’autocrate bielorusso – al potere ininterrottamente da quasi 30 anni – e che vede però con sospetto l’intromissione occidentale in quello che è il suo cortile di casa.
L’Unione Europea, sempre attenta alla tutela dei diritti umani e alla legittimità della volontà popolare, sembra cascare, però, un’altra volta nel peccato di applicare due pesi e due misure. Bene l’attenzione su Lukashenko; ma dopo aver provocato guerre vicino ai confini dell’UE, ricattare i governi occidentali con i migranti e incarcerare migliaia di oppositori politici, cos’altro si deve aspettare per applicare il pugno di ferro anche con Erdogan?
Federico Kapnist