Lukashenko ha nuovamente trionfato alle elezioni tenutesi in Bielorussia. Fin qui nulla di strano, se si pensa che la cosa si ripete ininterrottamente, e senza difficoltà alcuna, dal 1994.
In questa tornata elettorale, ci sono state però due novità: la prima, è che una sfidante, Svetlana Tikhanovskaya, è riuscita a raggiungere il 10% (miglior risultato mai raggiunto dai precedenti sfidanti del “sovrano” bielorusso); la seconda, che la popolazione sembra mostrare segni d’insofferenza al governo ininterrotto di colui che si è “meritato” l’appellativo di “ultimo tiranno d’Europa”. Violente manifestazioni sono infatti scoppiate in tutto il Paese, quando i risultati hanno assegnato oltre l’80% dei consensi al Presidente uscente.
Lukashenko governa dal 1994 in uno stato che, sulla carta, risulta essere una repubblica presidenziale a tutti gli effetti – con tanto di costituzione e parlamento. Ma che, nei fatti (e si può aggiungere comprensibilmente), pare ancora incapace di liberalizzarsi; sospeso tra secoli di governo autoritario e le solamente recenti aperture nei Paesi che lo circondano, tutti facenti parte dell’URSS.
La Bielorussia vanta comunque un sistema sanitario efficiente, una popolazione giovane e condizioni di vita in rapido sviluppo. Legato storicamente alla Russia, dalla quale dipende in maniera rilevante per forniture energetiche a prezzi vantaggiosi e come sbocco primario per la sua industria, sembra stia arrivando ad un bivio. Da un lato il rassicurante, ma talvolta avvolgente, abbraccio della Russia di Putin; dall’altro il brivido dell’apertura verso Occidente, luccicante e insidioso allo stesso tempo, per un Paese che nelle sue corde ha poco a che spartire con le democrazie liberali.
Il nuovo mandato di Lukashenko, iniziato non certo coi migliori auspici, traccerà la via del futuro prossimo per la Bielorussia.