L’uomo è uomo e la donna è donna. Sembra una banalità dirlo; ma, in epoca di diritti LGBTQ+, di identità di genere fluide e di star internazionali che, orgogliose, dichiarano su riviste patinate come i propri figli sceglieranno il loro sesso solo al 18° anno di età, anche una frase così semplice suona rivoluzionaria.
La frase può anche essere il riassunto della riforma costituzionale approvata, a larghissima maggioranza, nei giorni scorsi in Ungheria. E che d’ora in avanti sancirà ufficialmente il riconoscimento della famiglia, in termini legali, solo se formata da “vincoli di natura eterosessuale”. In altre parole, in Ungheria, la famiglia, per essere definita tale, dovrà per legge essere composta da un uomo e una donna. A valle di questo principio, un’altra serie di norme relative ai diritti dell’individuo; che prevede, tra gli altri, il divieto di adozione dei minori per le coppie omosessuali ed il divieto di modificare il genere, sancito indiscutibilmente alla nascita.
La riforma si pone in chiara antitesi rispetto alle derive più progressiste – assai in voga negli Stati Uniti, in Canada e in diversi Paesi dell’Unione Europea – che vorrebbero veder scomparire i riferimenti alla concezione tradizionale della famiglia. Equiparando, per legge, ogni tipo di unione tra esseri umani; e permettendo, spesso incentivando, cambi di sesso e fluidità di genere.
I portavoce del governo di Budapest riferiscono che questa riforma costituzionale non vuole essere in alcun modo contro determinati gruppi di persone, bensì a favore dei bambini e del loro inalienabile diritto di “crescere secondo natura” e con un’educazione ispirata ai “valori del cristianesimo e della società tradizionale ungherese”.
Nella sua apparente normalità, la legge rischia di infiammare ancora una volta il dibattito intra-comunitario tra i paesi di orientamento più liberal e quelli più ancorati ai valori tradizionali, tra i quali spiccano Polonia e Ungheria.
(In copertina il premier ungherese Viktor Orbán)
Federico Kapnist