È partito male, ieri, il tavolo per la trattativa sul rinnovo del contratto dei Metalmeccanici. Com’era prevedibile, in un periodo di forti criticità economiche, le parti si sono subito arroccate sulle diverse posizioni. Confindustria e Assistal da una parte e i sindacati, Fiom-Cgil, Fim-Cisl, Uilm-Uil, dall’altra.
Motivo del contendere, l’aumento salariale, che per le aziende, può prevedere, al massimo, un adeguamento in linea con l’indice che misura il tasso di inflazione armonizzato per i Paesi UE, che tradotto, significherebbe più o meno 40 euro lordi in più per i prossimi 3 anni, mentre la piattaforma sindacale prevede aumenti medi di 145 euro lordi, cioè, più del triplo di quanto offerto dagli industriali.
Oggi si sono riunite le segreterie unitarie, che ritengono che su queste basi non sia possibile continuare il negoziato, per decidere il blocco di straordinari e flessibilità e valutare ulteriori iniziative di mobilitazione.
Sono stati proclamati scioperi e organizzate assemblee e astensioni spontanee in molte fabbriche di Piemonte, Emilia Romagna e Toscana.
Il direttore di Federmeccanica, Stefano Franchi, ha voluto comunque offrire la disponibilità alla ripresa del dialogo, “nonostante le ampie divergenze”, a patto però che vengano interrotte le agitazioni in corso. E, ha anche aggiunto: “per noi è importante distribuire la ricchezza dove è stata prodotta”.
Roberto Benaglia, di Fim, ha affermato che la crisi post-Covid non può essere un alibi per non rinnovare il contratto, mentre Rocco Palombella, di Uilm, ha aggiunto che, “non è accettabile che i metalmeccanici abbiano i minimi salariali più bassi in Italia, fino a 400 euro lordi al mese, pertanto metteremo in campo qualunque azione per far cambiare idea alle aziende”.