Si è conclusa con l’assoluzione di tutti gli imputati, anche in Corte d’Appello a Venezia, la “saga processuale”, per le morti d’amianto, a carico di Officine Ferroviarie Veronesi e Fonderia Galtarossa, quindi senza colpevoli, esattamente come in primo grado, tra lo sconcerto delle parti civili.
Dopo due archiviazioni, il processo era stato riaperto nel 2013, con il rinvio a giudizio di otto imputati. Ne era scaturito un processo di primo grado, conclusosi nel 2016, con l’assoluzione generale di tutti e, un successivo ricorso, conclusosi con il verdetto dell’altro ieri.
I cinque operai erano morti per l’esposizione all’amianto, pertanto qualcuno doveva aver sbagliato e, di questo, la Procura generale di Venezia pareva esserne convinta, tant’è che nella requisitoria erano state chieste quattro condanne per un totale di dieci anni.
In appello erano finiti un medico, un ex-membro del cda e due direttori tecnici, penalmente responsabili di omicidio colposo.
Nelle sue conclusioni, il sostituto Giuseppe Salvo, aveva sottolineato che, “sui quadri dirigenziali faceva capo l’obbligo di vigilare sulla correttezza delle lavorazioni, pretendere l’adozione di misure di prevenzione e segnalare il rischio di esposizione all’amianto, interventi, questi, mai concretamente adottati”. Inoltre, “è emersa la mancata adozione di impianti idonei di aspirazione e la lacunosità dei dispositivi individuali di protezione”.
Sembra infatti che sul luogo di lavoro l’uso della mascherina (leggera), fosse facoltativo e che nessuno avesse informato i lavoratori sui rischi effettivi della contaminazione da fibre di amianto. Sempre secondo la Procura, “si sarebbe potuto e dovuto ovviare a simili criticità, ricorrendo a misure di prevenzione quali l’umidificazione del materiale per renderlo meno volatile; l’adozione di efficaci sistemi di aspirazione; l’uso di valide maschere filtranti”.
Ciononostante, il processo ancora una volta si è concluso senza colpevoli.