Alcuni membri del parlamento birmano hanno dato vita, il 16 aprile, ad un nuovo governo di unità nazionale. I leader di questo esecutivo, in chiara opposizione al regime dei militari instaurato dopo il golpe del 1 febbraio scorso, saranno l’ex presidente, Win Myint, e la leader della Lega Nazionale per la Democrazia, il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi.
La Birmania, ora Myanmar, sta vivendo una crisi sociale profonda in seguito al golpe dell’esercito. Lo stato di emergenza di un anno proclamato dai militari, insieme al rifiuto da parte di questi ultimi di riconoscere i risultati elettorali delle elezioni dello scorso novembre, ha generato un’ondata di proteste inarrestabile in tutto il Paese. Dapprima pacifiche e senza particolare repressione da parte delle forze armate, col passare dei giorni il regime ha mostrato poi il suo lato più duro. I morti tra i manifestanti sono ora oltre 700; mentre gli arresti, sempre secondo fonte locali, sono circa 3.000.
Nell’attesa di ottenere appoggio a livello internazionale – problematico, nonostante la simpatia occidentale, a causa degli ammonimenti cinesi a non intromettersi negli affari interni della Birmania – il nuovo governo mira a continuare la lotta contro l’esecutivo dei militari. Per fare questo, serve giocoforza l’aiuto delle milizie etniche; ossia i gruppi armati delle minoranze etniche della Birmania.
Queste particolari formazioni, le uniche – oltre all’esercito – ad essere armate, sono spaventate dal nuovo potere militare; che potrebbe minacciarne ulteriormente l’esistenza. Per combattere questo scenario e per vedere ripristinata la democrazia, si sono già dichiarate pronte a sostenere le proteste e il nuovo esecutivo di unità nazionale.
Federico Kapnist