“Bayraktar” è il nome di quello che, tecnicamente, è un velivolo da combattimento senza guida umana e a lunga durata; in altre parole, un drone.
Questo particolare drone, di fabbricazione turca, si sta rivelando essere la chiave di volta del conflitto tra Armenia ed Azerbaijan; il simbolo della superiorità militare di Baku rispetto a Yerevan. E che sta provocando un’ecatombe tra i militari armeni con un rapporto di circa 10 a 1 rispetto ai caduti azeri; sconvolgendo le vecchie tattiche militari adottate nelle precedenti guerre in questa regione contesa e trasformando le (un tempo) formidabili trincee armene in facilissimi bersagli e, quindi, luogo di vere e proprie stragi.
Il lato triste di questa ennesima, sporca guerra caucasica, è la disparità delle forze in campo: provocata dall’abbandono internazionale in cui versa l’Armenia a fronte del poderoso sostegno di cui gode, invece, l’Azerbaijan da parte turca. Droni, autoveicoli, miliziani e, con tutta probabilità, consiglieri militari del suo esercito: Ankara sta investendo tutte le sue (ampie) risorse militari per far sì che i “confratelli” azeri schiaccino e scaccino l’atavico nemico armeno in quella regione che riveste per Erdogan un grandissimo valore simbolico in chiave pan-turca e neo-ottomana.
Senza aiuti esterni, gli armeni saranno presto costretti a sventolare bandiera bianca e ritirarsi definitivamente dalla regione dove, un secolo fa, era iniziato il loro genocidio per mano azera, prima, e turca, poi.
A poco stanno servendo le tregue imposte dal “gruppo di Minsk” (Russia, Stati Uniti, Francia) caldeggiate principalmente da Putin – che vuole si concluda il prima possibile un conflitto pericoloso a ridosso dei confini caucasici della Russia. L’Azerbaijan sa benissimo che se fermasse ora le ostilità e si aprissero dei negoziati, perderebbe un’opportunità irripetibile per riconquistare la regione del Nagorno-Karabakh perduta nel 1994. Deve battere il ferro finché è caldo: tradotto, attaccare e conquistare più territorio possibile finché tutto gira a suo favore. Compreso l’informale “via libera” dell’intera comunità internazionale; che, schierandosi esclusivamente a favore di una tregua, sta implicitamente legittimando la riconquista da parte di Baku. Erdogan può solo che rallegrarsene.
Federico Kapnist