Per l’importanza che riveste, è considerata una sorta di Gerusalemme caucasica. Shusha, città contesa nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, nel fine settimana è tornata definitivamente in mano azera dopo quasi 30 anni dalla conquista armena, nel 1992.
La sua conquista, come era stato immaginato, segna la definitiva capitolazione dell’esausto ed inadeguato esercito armeno; stroncato, nonostante il disperato eroismo, dalla superiorità militare dell’Azerbaijan. Che, grazie al determinante appoggio della Turchia, vince una guerra che è sempre stato sicuro di vincere, vendicando così l’umiliante sconfitta del 1994.
Nella giornata di ieri, lunedì, la tregua fortemente voluta dal presidente russo Vladimir Putin è stata firmata dai leader armeno, Pashinyan, e azero, Aliyev.
Entrata subito in vigore, la tregua, di fatto, mette con le spalle al muro l’Armenia che arresta, se non altro, la strage delle proprie truppe; fiaccate da continue sconfitte, inferiorità di mezzi e precarie condizioni di salute. E apre, di conseguenza, alla riconquista di una vasta parte della Regione da parte di Baku; con un corridoio che permetterà ai soldati e ai primi sfollati di evacuare le zone riconquistate dall’Azerbaijan e dirigersi verso l’Armenia.
La certezza che questa volta la tregua sarà definitiva, è data non solo dall’impossibilità materiale per gli armeni di continuare a combattere una guerra che sanno di non poter vincere, ma soprattutto dal fatto che già da questa notte, peacekeepers russi si stanno dislocando nel Nagorno-Karabakh, frapponendosi tra le due fazioni per impedire colpi di coda del conflitto.
Putin, infatti, rimasto scottato alcune settimane fa – quando la “sua”, fortemente voluta tregua era stata rotta dopo solo pochi giorni – questa volta ha voluto mettere le cose in chiaro ed impedire eventuali recrudescenze.
L’annuncio della tregua ha generato, com’è normale che sia, differenti reazioni a Baku e a Erevan: manifestazioni di gioia nella capitale azera, violente proteste in quella armena, soprattutto da parte dei militari.
Federico Kapnist