Aleksey Navalny non è certo un personaggio di primo piano della politica russa, anzi. Ma gli si deve comunque dare atto di essere riuscito, nello scorso fine settimana, a mettere in piedi qualcosa che in Russia non era facile. Sfidare divieti, freddo e pandemia, portando qualche migliaio di persone nelle piazze di tutto il Paese, è stato già di per sé un successo. Per un blogger conosciuto più in Occidente che nel suo Paese e la cui mission è, in fondo e in ogni caso, andare contro Vladimir Putin.
Già, Putin. Il presidente-Zar gode nel Paese di una popolarità incredibile, riscontrata da tutti i sondaggi e che oscilla, stabilmente da molti anni, tra il 70 e l’85%. Queste cifre non stupiscono; poiché facendo due semplici addizioni, sommando cioè i risultati del suo partito, Russia Unita (mediamente intorno al 50%), e quello dei due principali “avversari” – il Partito Comunista guidato da Gennady Zyuganov ed il Partito Liberal-Democratico di Vladimir Zhirinovsky – i conti tornano.
Questi due partiti, uno dichiaratamente nostalgico dell’Unione Sovietica e l’altro – nonostante il nome possa trarre in inganno – nazionalista ed anti-occidentale, valgono assieme oltre il 30%. Vi è poi una galassia di partiti minori, a completare lo scenario politico del paese eurasiatico; alcuni ancora più a destra, altri ancora più a sinistra, e qualcosina in mezzo.
Sì. Checché se ne dica, esistono anche in Russia i partiti d’ispirazione dichiaratamente liberale e filo-occidentali. Concorrono apertamente e senza nessuna obiezione alle elezioni; siano esse presidenziali, parlamentari o regionali. Il problema, specialmente per molti commentatori di casa nostra, è che però questi partiti godono di un seguito molto basso; e i russi si ostinano a non votare per chi vorrebbero americani ed europei. Jabloko – da cui il buon Navalny venne addirittura espulso per le sue posizioni ultra-nazionaliste (oggi sparite?) – e Russia del Futuro, fondato dal “Nelson Mandela di Russia” (come “la Stampa” l’ha incredibilmente definito), valgono qualche punto percentuale. Qualcosa in più nelle grandi città.
Ecco che allora Alexey Navalny va più che bene per scuotere, con qualche manifestazione, un Paese fortemente ancorato al proprio Presidente di cui ancora non si vedono, all’orizzonte, successori. Intorpidito, e chissà per quanto tempo ancora, dall’atavico e plurisecolare sentimento di affidarsi all’uomo forte; sia questo uno zar o un leader comunista. Navalny va più che bene anche come sentinella, come cane da guardia per segnalare gli endemici ed enormi problemi del Paese. Su cui spicca la corruzione – giustamente a lui cara – e a cui si legano povertà diffusa, arretratezza economica e scarso rispetto dell’ambiente.
Ma se l’Occidente pensa di aver trovato in questo giovanotto – dal presente incerto e dal passato altalenante e discutibile – un reale oppositore di Putin che possa far breccia nel cuore di milioni di russi, i calcoli rischiano di essere drammaticamente sbagliati.
Federico Kapnist