Si potrebbe partire dalla fine, ponendosi la domanda più intelligente e utile in questi casi: cui prodest? A chi giova di più, in questo momento, la vicenda Navalny ed il clamore mediatico che si è scatenato a livello internazionale?
Questo non ci è dato saperlo, almeno per il momento. In compenso, sappiamo con esattezza a chi questa vicenda sta creando più danni e fastidio in assoluto: Putin. Sul quale già pende una sentenza di colpevolezza emessa a livello diplomatico e mediatico.
Riepiloghiamo i fatti: il 20 agosto scorso, l’attivista russo Alexei Navalny, durante un volo tra la Siberia e Mosca, ha avvertito un malore che ha costretto il velivolo ad un atterraggio di emergenza ad Omsk. Nella città siberiana, Navalny è stato curato e, su richiesta dei familiari, trasferito a Berlino dove ancora si trova; appena uscito dal coma indotto e non in pericolo di vita. Avvelenato, secondo quanto hanno riferito i medici tedeschi, con il Novichok, una sostanza prodotta da decenni nell’ex Unione Sovietica.
A leggere la storia secondo i fatti appena elencati, e assodate le arcinote spietatezza e spregiudicatezza di Putin, la deduzione più logica e naturale è che il Presidente russo abbia ordinato di uccidere, mediante avvelenamento, un oppositore che da anni imperversa nelle piazze e nella scena politica del Paese battendosi contro corruzione e clientelismo.
Vi sono però dei punti che non tornano, in questa vicenda. Già archiviata in maniera troppo semplicistica e frettolosa con la volontà di raggiungere più una condanna unanime con riflessi politici, che altro. Come già successo col caso Skripal (l’ex agente russo avvelenato, insieme alla figlia, in Inghilterra nel 2018; entrambi poi sopravvissuti), si è cercata la verità apparente più ovvia, anche se nasconde molti lati oscuri.
Il primo, capire se Putin sia un onnipotente, abilissimo e spregiudicato scacchiere capace di influenzare la politica mondiale (come viene spesso dipinto) o un dilettante allo sbaraglio. Perché se avesse davvero deciso di sbarazzarsi di Navalny in questa maniera, dovremmo tutti ricrederci su di lui e consigliargli di ritirarsi il prima possibile a vita privata.
Se si vuole essere certi di uccidere una persona, esistono, da che mondo è mondo, modi molto, molto più affidabili. E se anche si scegliesse, come in questo caso, quello più goffo e sciocco (una dose non letale di veleno, che non uccide ma smaschera il tentativo), vi si porrebbe rimedio al più presto una volta appurato il fallimento. Prima che vengano somministrate cure e, soprattutto, prima di autorizzare la persona in questione a volarsene come niente fosse in un paese NATO in cui scomode verità verrebbero divulgate e date in pasto alla stampa, come puntualmente accaduto.
Sul tutto, nel Paese NATO che è il primo partner commerciale di Mosca, in cui si è ad un passo dal concludere un gasdotto da 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno e che è al centro di una complessa partita diplomatica con gli Stati Uniti impegnati in prima linea.
Se Putin è veramente l’autocrate omicida che si dice, e la Russia una terra oscura dove tutto può essere insabbiato o nascosto, Navalny la Germania non l’avrebbe vista neanche con il binocolo; e sarebbe forse a far compagnia alle radici delle betulle nella taiga siberiana.
Ma sopratutto, quello che non torna è il movente: perché eliminare Navalny? E perché proprio adesso? Senza nessuna elezione in vista, nessun processo in corso, senza nulla che possa far presagire un qualche pericolo interno per Putin derivante dal celebre blogger. Navalny è davvero così pericoloso per Putin? Dati alla mano, no. Non lo è mai stato e non lo è adesso.
Navalny a livello politico conta ben poco; è più celebre per le sue piazzate anti-corruzione (su cui non ha sicuramente tutti i torti, essendo un problema endemico in Russia), le sue saltuarie manifestazioni di dissenso da qualche migliaio di manifestanti, i suoi ripetuti arresti di qualche giorno e le multe. Una carriera politica complicata e scostante, un pout-pourri di sostegno ai matrimoni omosessuali e visioni ultra-nazionalistiche che contribuirono persino a farlo espellere da Jabloko, partito d’ispirazione liberale che in Russia vale oggi circa il 3% del consenso.
La verità che sta emergendo, in primis dai riflessi sul gasdotto North-Stream 2 (che rischia di naufragare a causa della tempesta mediatica) è che per i numerosi rivali di Putin – dentro e fuori la Russia – il buon Navalny sembra servire molto più da avvelenato in un ospedale che da vivo, in mezzo ad una piazza col megafono.
Federico Kapnist