Mentre Trump, allo scadere del 2020, decideva di far passare, provocatoriamente, due navi militari per lo Stretto di Taiwan, Xi Jinping organizzava imponenti esercitazioni militari. Ordinando ai soldati cinesi di farsi trovare sempre pronti, qualora ci sia bisogno di loro per difendere la Madre Patria.
Non si placano quindi, negli ultimi giorni di presidenza Trump, le tensioni fra Washington e Pechino. E a gettare ulteriore benzina sul fuoco ci si è messa, un’altra volta, la questione irrisolta di Hong Kong; dove si sta combattendo una battaglia a bassa intensità fra Cina e il mondo anglosassone. Con i vecchi padroni, gli inglesi, e i loro alleati, gli americani, a soffiare sul fuoco delle proteste della città-stato contro il potere di Pechino, spesso esercitato sopra le righe e, con le giustificazione della sicurezza nazionale, in spregio al trattato siglato con Londra e riconosciuto dall’ONU. Che prevede maggiore autonomia per Hong Kong, fino, almeno, al 2047.
Il 2021 si è aperto con 53 arresti per i dimostranti che, l’anno scorso, avevano organizzato delle primarie democratiche per scegliere i rappresentanti da portare alle elezioni. Contravvenendo in questo modo alle leggi cinesi, che decretano la nomina da parte del Partito Comunista di tutti i candidati nelle elezioni di Hong Kong. Tra gli arrestati, consiglieri distrettuali, studenti, ex-legislatori e un cittadino americano che lavora in uno studio legale dell’ex colonia britannica.
Un’ondata di sdegno ha attraversato gli Stati Uniti in seguito agli arresti; con la nuova amministrazione Biden che, tramite l’entrante segretario di Stato, Blinken, ha dichiarato il gesto di Pechino “un attacco a coloro che difendono i diritti universali”.
“L’amministrazione Biden-Harris” ha specificato Blinken “si schiererà con il popolo di Hong Kong e contro il giro di vite di Pechino sulla democrazia”.
Federico Kapnist