I militari saliti al potere da una settimana in Myanmar, tramite un colpo di stato, hanno ordinato la chiusura dei social network e diverse limitazioni nell’utilizzo di internet in tutto il Paese.
La popolazione, in compenso, ha seguito gli appelli della presidente Aung San Suu Kyi di riversarsi nelle strade e di protestare contro quanto avvenuto. Le manifestazioni, soprattutto nella capitale Yangoon, sono state imponenti (si parla di decine di migliaia di persone), ma pacifiche. Nonostante la massiccia presenza di forze dell’ordine, non si sono segnalati episodi di violenza.
Il golpe avvenuto lo scorso fine settimana è stato orchestrato dai militari con la scusa – non supportata da alcuna evidenza – di brogli elettorali nelle ultime elezioni dello scorso novembre. Elezioni nelle quali la presidente in carica, e ora agli arresti, aveva trionfato con oltre l’80% dei voti; a fronte di un modesto risultato del partito legato all’esercito.
Ma sono le reazioni internazionali ad interessare: mentre Stati Uniti, ONU e in generale l’Occidente criticano quanto successo e chiedono il ripristino della democrazia, la Cina – sospettata di essere dietro al golpe – invita a non esacerbare ulteriormente la situazione e ad astenersi dall’intromettersi negli affari interni della Birmania. Pechino avrebbe più di un motivo per interessarsi dell’ex colonia britannica, interessante per il suo ampio sbocco sul mare nel Golfo del Bengala.
Federico Kapnist