“Un attentato spregevole”; così è stato definito dalle autorità irachene. E a leggere la dinamica, purtroppo, la descrizione calza a pennello.
Il primo terrorista, mescolato alla folla, ha finto un malore; accasciandosi al suolo e richiamando quindi su di sé il maggior numero di persone possibile. Solo a quel punto si è fatto esplodere, compiendo una strage. Subito dopo, nel panico generale che si era scatenato, anche il secondo attentatore ha azionato il detonatore, facendosi saltare per aria. Altra strage. In totale, 32 morti e 110 feriti.
Una carneficina che la capitale irachena, antica e prestigiosa città del califfato abbàside, aveva quasi dimenticato quale orrore e terrore potesse comportare. Dopo gli anni durissimi dell’avanzata dell’ISIS, tra 2014 e 2017, dal 2018 l’Iraq aveva ripreso a condurre una vita quasi normale, senza attentati. Grazie alla riconquista del proprio territorio ed alla sconfitta dei fondamentalisti per mano della “resistenza sciita”, l’asse composto dall’alleanza tra Iraq, Iran, Siria ed Hezbollah – con l’appoggio determinante della Russia.
Ora, con questo nuovo, tremendo attentato, il Paese ritorna nell’incubo. Ad essere colpito è stato infatti uno dei cuori pulsanti della Capitale, il quartiere di Bab al-Sharji, nei pressi di piazza Tayaran, dove si stava svolgendo un affollatissimo mercato.
Sconcerto da parte del premier iracheno, al-Khadimi, che ha subito dato ordine di intensificare i controlli e aumentare il lavoro dell’intelligence nazionale. La paura più grande è costituita dai circa 10.000 militanti, un tempo appartenenti all’ISIS (che ha rivendicato l’attentato) e che si ritiene siano ancora in circolazione a cavallo tra Siria ed Iraq.
Tagliatisi la barba e smessi i panni dei guerriglieri – al momento della disfatta del movimento ultra-fondamentalista – questo enorme numero di uomini è ancora, potenzialmente, pericolosissimo.
L’attività di prevenzione e di contrasto a questi reduci del “califfato” continuerà ad essere fondamentale nei mesi a venire.
Federico Kapnist