Il sindaco Mario Conte era stato molto esplicito, anche su Facebook: “A scanso di equivoci e per evitare che circolino informazioni errate, ricordo che nel territorio comunale di Treviso, quest’anno non si svolgeranno i Panevin. Sono da considerarsi abusivi”. E così il covid è riuscito a portarsi via anche il Panevin.
Per chi non vive nella Marca è difficile capire il valore simbolico dell’appuntamento con questa usanza, (da pane e vino, in segno di buon auspicio per un anno di abbondanza), una tradizione storica della campagna veneta, ma soprattutto trevigiana, che riunisce attorno a dei falò propiziatori, detti anche “foghere”, intere comunità, in attesa dell’Epifania.
Mentre queste pire di fuoco ardono, in base all’orientamento del fumo e delle faville, si possono trarre presagi per il nuovo anno. La fiammata infatti simboleggia la speranza e insieme la forza di bruciare il vecchio. Sembra che l’usanza derivi addirittura da riti purificativi e propiziatori diffusi già in epoca pre-cristiana: i Celti per esempio avevano l’usanza di accendere fuochi per ingraziarsi le divinità, bruciando un fantoccio che rappresentava il passato. Il senso del divieto, come ha voluto sottolineare il Sindaco, era quello di evitare assembramenti oltreché l’aumento di inquinamento e fumi, in considerazione del fatto che il virus attacca soprattutto i polmoni.
E così, da tempo immemorabile, la mattina dell’Epifania, i Trevigiani si sono svegliati con l’aria pura e pulita, senza l’odore di bruciato dei residui del Panevin e, per l’intera giornata i valori delle Pm10 sono stati impressionantemente bassi: la mattina del 6 gennaio 2020, c’era stata una media di 122 microgrammi per metro cubo d’aria; ieri invece non sono mai stati superati i 25 microgrammi.
Inoltre ogni anno le polemiche tra fronti contrapposti si fanno sempre più infuocate: da una parte gli ambientalisti e dall’altra i paladini della storica tradizione. Molti hanno fatto comunque il loro piccolo Panevin domestico e, tra questi qualcuno ha pensato di bruciare nel rogo l’effigie di Zaia, reo di averli proibiti in tutto il Veneto.