Prime nomine per il presidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden. Segretario di Stato (l’equivalente del nostro ministro degli Esteri ) sarà Antony Blinken; affiancato da Jake Sullivan nei panni di Consigliere per la Sicurezza Nazionale.
Un segnale di chiara controtendenza rispetto alle figure spregiudicate nominate in alcune posizioni chiave da parte di Trump. In primis l’attuale Segretario Mike Pompeo, alfiere di una politica estera diretta e unilaterale che voleva vedere gli Stati Uniti spadroneggiare nei teatri di interesse nazionale senza curarsi troppo dei rapporti con le controparti. E che, tirando le somme, ha avuto come unico risultato quello di stringere ancor di più i legami con Israele e le petromonarchie del Golfo; in chiave anti iraniana.
Sullivan e sopratutto Blinken rappresentano invece un approccio diverso: basato più sull’esperienza e sul multilateralismo. Entrambi nella squadra di Hillary Clinton, quando ricopriva l’importante carica di Segretario di Stato – nel secondo mandato di Obama – ci si interroga se dimostreranno lo stesso attivismo bellico della grande sconfitta nelle elezioni del 2016. O se, invece, vorranno insistere su di un moderato isolazionismo perseguito da Trump; riallacciando i rapporti con l’Europa e rilanciando una NATO sulla cui utilità, insieme ai grandi Paesi dell’UE, gli stessi Stati Uniti iniziavano ad interrogarsi.
Come da grande tradizione democratica (da Carter al marito di Hillary, Bill, per arrivare sino a Obama) dietro un apparente rifiuto dell’uso della forza, vi è invece una spregiudicata volontà di difendere le violazioni dei diritti umani commessi dai nemici degli Stati Uniti. Utilizzando questa carta per per perseguire obiettivi di altra natura: economici e geopolitici. Ecco che allora ci si chiede quali potranno essere i “nuovi nemici” di Washington verso cui indirizzare il poderoso apparato militare a stelle e strisce.
La Turchia, ribelle ai diktat della NATO, colpevole di flirtare con la Russia e con migliaia di oppositori politici in carcere, verrà sicuramente richiamata all’ordine. La Cina, rivale in ogni campo, potrebbe non veder stravolgere la rigida politica sinofoba di Donald Trump che, in fondo, è piaciuta a molti americani. La Russia, poi, autentico fumo negli occhi per Hillary Clinton e considerata da molti come “LA” minaccia alla sicurezza nazionale, rischia di ripiombare nell’accerchiamento dem ai suoi tentativi di espansione.
Grandi rischi, infine, li corre anche l’asse Tel-Aviv – Riyadh, prosperato sotto Trump: l’alleanza tra Sauditi e Israele, fondata su repressione dei Palestinesi, spostamento della capitale dello stato ebraico a Gerusalemme e guerre regionali su cui spicca la carneficina ancora in corso nello Yemen, potrebbero non star bene a Biden. E chissà che da quest’ultimo punto non possa trarne giovamento l’Iran; che Obama e in generale i democratici, artefici dell’accordo sul nucleare, li rimpiange molto.
Federico Kapnist