Un medico dell’Università di Padova ha messo a punto un protocollo anti-Covid con un farmaco giapponese, il cui preziosissimo utilizzo è bloccato da sei mesi a causa dell’eterna e assurda burocrazia italiana.
Il professor Gian Paolo Rossi, direttore di Medicina d’urgenza e Ipertensione, dell’Azienda ospedaliera di Padova ha predisposto, con un gruppo di ricercatori , una terapia basata su un farmaco anticoagulante, “Nafamostat mesilato”, utilizzato da oltre dieci anni in Giappone, su pazienti in dialisi.
Nelle prove di laboratorio è risultato essere il principio più potente contro le infezioni delle cellule del polmone. Da qui, lo studio del professor Rossi, delegato del Rettore per la ricerca clinica, che insieme al dottorando Alberto Bressan ha presentato il protocollo già nel marzo scorso, in piena pandemia, accertando e dimostrando che il “Nafamostat mesilato” riduce sia la mortalità che il ricorso alla terapia intensiva.
L’azione anticoagulante del prodotto è fondamentale nel contrastare il virus perché, come è stato dimostrato, molti decessi sono causati da una coagulazione intravascolare, che blocca sia il circolo polmonare che quello coronarico.
Così lo studio padovano, scientificamente ben fondato, è stato subito approvato dall’Istituto superiore di Sanità e dal Comitato etico dello Spallanzani di Roma, competente in materia Covid-19, oltre che da altri istituti europei, ma non è ancora applicabile.
E, perché? Perché l’importazione di un farmaco, seppur conosciuto e ampiamente usato in Paesi-extra europei, per la legge italiana prevede una serie noiosissima di passaggi burocratici.
Nel frattempo, il protocollo è stato pubblicato sull’autorevole sito ClinicalTrials.gov, ottenendo richieste di partecipazione da parte di ricercatori di tutto il mondo. Il Professor Rossi, pur affermando di essere ormai in dirittura d’arrivo, si dice sconsolato per il tempo perso e per le vite che si sarebbero potute salvare.