Trascorsi pochi giorni da un’imponente esercitazione delle forze armate russe a ridosso del Donbass, e da una crisi diplomatica che ha visto Mosca rivaleggiare con Stati Uniti, Repubblica Ceca ed Ucraina, Vladimir Putin è intervenuto di fronte al parlamento russo per il suo discorso annuale.
Un discorso improntato maggiormente sulle tematiche interne. In primis la ripartenza dell’economia e la lotta alla pandemia, con l’invito ai cittadini russi a vaccinarsi il più possibile.
Ma, inevitabilmente, l’occasione è stata propizia anche per lanciare un messaggio ai “partner” occidentali con cui, negli ultimi mesi, la Russia sta avendo più di qualche problema. Un messaggio leggermente velato, ma che a buon intenditor è bastato ed avanzato. Citando alcuni passaggi de Il Libro della Giungla di Kipling, Putin ha paragonato gli Stati Uniti ed i suoi alleati alla tigre tirannica Shere Khan ed agli sciacalli che le ronzano intorno per compiacerla. Mowgli, neanche a dirlo, sarebbe la Russia. Citazioni di Kipling a parte, il messaggio era chiaro: non provocate la Russia e non superate le linee rosse che la Russia, e non altri, traccia nei territori di sua influenza. Altrimenti la reazione sarà “rapida e dura”.
Guai ad un ingresso dell’Ucraina nella NATO; guai a ritrovarsi Washington – seppur indirettamente – che confina direttamente con la Russia in Europa.
Fatto intendere questo messaggio – di importanza vitale per la Russia – l’invito finale, conciliante, è stato però di “non voler tagliare i ponti” con Europa e USA. Per diversi punti di frizione, vi sono allo stesso tempo incoraggianti segnali di collaborazione. Questo è il punto da cui ripartire.
Federico Kapnist