Ciò che è emerso dal Recovery Plan dell’altra notte non è piaciuto agli industriali veneziani. I porti di Genova e Trieste sono stati definiti dal governo “snodi strategici per l’Italia e per l’Europa, nei traffici da e per il Medio-Estremo Oriente” e, come tali hanno visto inseriti imponenti progetti per il loro sviluppo futuro, viceversa, a Venezia sono rimaste solo le briciole di interventi generici, del tipo “ultimo miglio ferroviario e stradale” o “aumento della capacità portuale”, che vuol dire tutto e niente.
E così, Vincenzo Marinese, presidente di Confindustria Venezia-Rovigo, furibondo, si è scagliato contro il governo, affermando che continuando di questo passo il porto di Venezia sarà destinato a morire. Anche Venezia infatti, in considerazione dell’arrivo dei fondi europei, contava di poter avere la sua parte, per i grandi investimenti da finanziare.
Marinese fa sapere che, “quando prima di Natale, circolava la prima bozza, avevamo subito segnalato al governo che Venezia meritava di più, ma la risposta era stata che Genova e Trieste hanno progetti già cantierabili e noi no”.
Per tutta l’economia veneta, il cui Pil si fonda su export e internazionalizzazione, come sottolinea Confindustria, il porto rappresenta una questione centrale e non bisogna mettere le diverse città nella condizione di farsi la guerra, ma trovare una via per farle collaborare, “allearsi, non scontrarsi”.
Molto meno diplomatico Filippo Olivetti, delegato alle Infrastrutture, che probabilmente dice quello che pensa la gran parte delle persone ormai esasperate: “È colpa dell’inettitudine di tutta la politica del territorio, dalla Regione ai rappresentanti veneziani a Roma. Operatori portuali, continuate pure a votare chi vi piglia per il naso!”.
Come ricordava anche il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, che è anche consigliere comunale, “in queste cose serve unità d’intenti, che in queste settimane non c’è stata, per mettere al centro del piano Venezia. È anche necessario capire il piano presentato dalla Regione, che è il vero interlocutore del governo”.
Del resto, negli ultimi anni, Trieste e Genova hanno lavorato alacremente per attrarre investimenti internazionali, Venezia non ce l’ha fatta. “Paolo Costa, ci aveva provato, negli anni della sua presidenza, con la progettazione definitiva del Terminal offshore, una piattaforma a otto miglia al largo del Lido di Venezia, in grado di ricevere mega navi portacontainer da 400 metri…ma poi sono cambiati i presidenti, prima Musolino e poi Zincone e, del progetto prima, ridimensionato, non si è più parlato”.
Questa volta è arrabbiata anche la politica: Simone Venturini, assessore veneziano allo Sviluppo economico, dice “i nostri rappresentanti al governo o non c’erano o dormivano”.
Nicola Pellicani, deputato del PD, sostiene che pur essendo necessario ripartire da un “clima istituzionale di collaborazione”, alcuni lavori fondamentali per il porto, verranno fatti, “con o senza i soldi europei.”
Comunque non è ancora tutto perduto, qualche possibilità c’è ancora, ma è indispensabile mettere da parte personalismi e polemiche e, per una volta, cercare di remare tutti nella stessa direzione.