Mancano poco più di due settimana alla presentazione a Bruxelles del Recovery plan e finalmente iniziano a delinearsi i dettagli sulla governance del piano da 200 miliardi. Quello che emerge è un sistema di gestione dove la regia politica andrà ad un comitato di ministri riuniti attorno a Mario Draghi. Una strada simile a quella adottata in Francia e che si che si discosta molto da quella dell’ex premier Conte.
Il comitato dei ministri di Draghi dovrebbe essere composto da sei persone: Daniele Franco (Tesoro), Roberto Cingolani (Transizione ecologica), Vittorio Colao (Digitalizzazione), Enrico Giovannini (Infrastrutture), Maria Cristina Messa (Ricerca) e Roberto Speranza (Sanità).
Ma c’è una questione che sta sollevando problemi con i partiti: fatta eccezione per Speranza, si tratta infatti solo di ministri tecnici e non sono rappresentati ad esempio i giovani, il Sud, né le pari opportunità, le cosiddette «direttrici trasversali» del piano. Non ci sono soprattutto i grandi partiti della maggioranza, Cinque Stelle, Lega e Pd. Fonti di Palazzo Chigi cercano di placare gli animi spiegando che: “La composizione del comitato sarà variabile, verranno coinvolti di volta in volta i ministri interessati da questo o quell’investimento”.
Il ministro Franco ha fatto capire che ci sarà una scrematura ma “i progetti che non saranno inclusi nel piano non saranno necessariamente accantonati: non solo esistono gli altri strumenti nazionali ed europei ma stiamo anche valutando se istituire una linea di finanziamento ad hoc, complementare al Pnrr che includa i progetti che pur meritevoli per spirito e finalità ne siano esclusi perché non soddisfano alcuni criteri più stringenti”.
Oltre alla questione politica, c’è anche quella attuativa del piano: su questo Palazzo Chigi sta scrivendo un decreto ad hoc che servirà ad introdurre il cosiddetto «modello Genova», quindi le deroghe alle norme sugli appalti che permettano di evitare lo stop ai cantieri.
Come aveva detto Draghi nell’ultima conferenza stampa: “Abbiamo perso credibilità nella nostra capacità di investire“, e non da ieri, ma “svariati anni fa”. Il Recovery può essere l’opportunità del riscatto, oppure la fine. A questo proposito Draghi e Franco hanno pensato ad una struttura di coordinamento che sarà gestita direttamente dalla Ragioneria generale dello Stato. La stessa Ragioneria si farà promotrice di «task force» con le quali darà assistenza tecnica ai Comuni e alle Regioni nella realizzazione delle varie opere.
Infine è affidato al Tesoro il ruolo di interlocutore unico con la Commissione europea poiché ogni sei mesi gli uffici chiederanno conto dello stato di avanzamento di questa o quella spesa. Consegnando il progetto del Recovery il 30 aprile, l’obiettivo è quello ottenere entro la fine dell’estate un anticipo delle risorse pari a circa 25 miliardi.
Il 26 e il 27 aprile Draghi spiegherà nel dettaglio al Parlamento le settecento pagine che valgono il più importante progetto di investimenti pubblici dai tempi del piano Marshall e su questo scommette tutto.
L.M.