Delle vergini e di altre rarità.
È in atto un dibattito assai serrato in Francia sulla proposta del ministro dell’Interno Gerald Darmanin di abolire il certificato di verginità e sanzionare penalmente chi si ostinerà a farlo.
Diciamo subito che “il passante” che scrive queste note è apertamente dalla parte del Ministro francese; ma diciamo anche che la questione è assai più complessa di come sembra a prima vista.
Il solo pensare che nella Francia del 2020 ci siano ragazze o, meglio, genitori e futuri mariti di ragazze costrette a richiedere un attestato di purezza è cosa che fa rabbrividire: è una barbarie verso i diritti individuali, retrograda, umiliante e fortemente sessista, frutto di una cultura (se così si può chiamare) arcaica, discriminatoria e violenta nei confronti delle donne.
Ma….dicono parecchi medici e alcuni rappresentanti (incredibile a dirsi) della sinistra con il loro organo di informazione Liberation, abolire questi certificati che, oltretutto, non hanno alcun valore legale, sarebbe un errore: di dover fornire questo certificato a una giovane donna per salvarle la vita, per proteggerla perché è indebolita, vulnerabile o minacciata. Secondo loro, dicono, approvare un bando con reato penale significa abbandonare le ragazze a pratiche clandestine, o a viaggi all’estero per ottenere comunque gli attestati, mentre oggi la consultazione è l’occasione di aiutare le ragazze “a prendere coscienza e a liberarsi dal dominio maschile o familiare”.
Sarà, ma a noi sembra che che il modello culturale che costringe giovani donne (è evidente che la pratica riguarda esclusivamente ragazze musulmane) sia un modello farcito di tradizioni e di pregiudizi che non avrebbero diritto di cittadinanza in alcuna parte del mondo e che in ogni parte del mondo dovrebbero essere estirpati. Ma se l’emancipazione femminile dovrebbe divenire un patrimonio comune di tutta l’umanità, si lasci almeno che in Francia e nel resto del mondo civile le nostre leggi, le nostre regole e i nostri standard di civiltà non si pieghino a richieste che sono la negazione dei progressi della società in cui abbiamo la fortuna di vivere.
E poi diciamocelo con franchezza: il ragionamento per cui i medici dovrebbero essere tenuti a certificare l’illibatezza delle richiedenti per “salvarle”, “difenderle” per “proteggerle” non ci convince: una società civile non asseconda le superstizioni e le credenze, in particolare quando sono discriminatorie: le combattono!
Cosa dovremmo dire ai nostri medici se si presentasse loro il caso di una famiglia che chiede per la loro figlia la cosiddetta “infibulazione”, ovvero l’escissione della clitoride (la pratica è molto diffusa nel mondo: in Somalia raggiunge quasi il 100% della popolazione femminile)? Dovremmo dir loro di praticarla per “salvare” e “difendere” quelle sventurate vittime di forme aberranti di sessismo?
Noi crediamo di no!
Il passante