Ha parlato di un concetto di “spirito etico” Marco dal Brun, coordinatore per il settore Sanità Confindustria Veneto, quando nei giorni scorsi, attraverso un’intervista, ha dichiarato che la sanità privata è pronta ad intervenire e ad investire per affiancare quella pubblica, al fine di “smaltire tutti gli arretrati della chirurgia”.
Partendo dalla constatazione che nella chirurgia non urgente, già nella prima fase della pandemia, si erano accumulati ritardi importanti, dal Brun si è focalizzato sul fatto che la sanità privata ha a disposizione intere équipe di medici, che avrebbero il tempo e le competenze per intervenire, mentre la Regione ha una serie di strutture ospedaliere dismesse, tra le quali, Monselice, Valdobbiadene, Zevio o Isola della Scala, che, almeno in questa fase, potrebbero essere recuperate.
Da qui la proposta di dal Brun: “Il pubblico potrebbe mettere a disposizione del privato strutture come queste, insieme alle liste delle prestazioni inevase, che stanno crescendo di giorno in giorno. Al privato l’onere di investire per portare allo stato di funzionamento queste strutture con costi relativamente contenuti”.
Una proposta per contribuire ad allentare la pressione sul sistema sanitario regionale, per la quale, i privati chiedono di avere in cambio solo la garanzia di un volume di lavoro, per i prossimi 6/8 mesi, tale da rientrare negli investimenti.
“Oltre al Covid, la Sanità pubblica sta pagando un doppio prezzo: l’arretrato sulla prevenzione e sulle patologie non acute. E ciò si traduce concretamente in costi in prospettiva, perché quando si trascura la prevenzione è inevitabile subire un contraccolpo successivo. In quest’ottica servirà un’integrazione perfetta tra pubblico e privato”
Per quanto riguarda la situazione attuale, dal Brun pur constatando la forte pressione sul sistema sanitario, si dice moderatamente ottimista per il fatto che, i mesi tra la prima e la seconda ondata sono serviti per allestire reparti e a fare scorte dei vari dispositivi di protezione, permettendo un approccio diverso alla malattia. E, comunque, anche sperando di avere cure mirate e un vaccino per la primavera 2021, per traghettarci fuori dall’emergenza, avremo davanti cinque mesi in cui bisognerà resistere”.