Oggi, 9 dicembre, i dipendenti del pubblico impiego saranno in sciopero in tutta Italia. L’astensione dal lavoro è stata proclamata dai sindacati di categoria aderenti a Cgil, Cisl e Uil in segno di protesta contro il mancato rinnovo del contratto, le mancate assunzioni e le ridotte risorse messe a disposizione dal governo per i settori della Pubblica Amministrazione.
La ministra Fabiana Dadone, nonostante abbia convocato per domani, 10 dicembre, un tavolo con i sindacati, non è riuscita comunque a impedire che oggi la protesta fosse confermata in tutta Italia. Lo sciopero, come spesso accade, ha suscitato diverse critiche: per prima cosa arriva in un momento in cui l’Italia è in emergenza, con centinaia di migliaia di lavoratori che hanno perso il lavoro (o lo perderanno quando terminerà il blocco dei licenziamenti imposto dal governo) e non da ultimo i dipendenti pubblici sono considerati una categoria di “garantiti”, con delle retribuzioni medie più alte rispetto ai privati.
Con questo non vogliamo dire che scioperare sia sbagliato anzi, lo sciopero è un diritto imprescindibile in una democrazia, ma forse, anche se gli intenti sono buoni, il momento non è quello giusto. Lo sciopero di oggi riguarderà tutti i settori «coperti» dal contratto nazionale del pubblico impiego, all’incirca 3 milioni di persone: dunque si fermeranno i dipendenti ministeriali di tutti gli uffici pubblici, degli enti locali, dell’Inps, ma anche il personale della scuola e della sanità.
Le ragioni dello sciopero
I sindacati chiedono nuove assunzioni di personale (e in questo senso di utilizzare anche le risorse del Recovery Fund), sicurezza nel ambienti di lavoro, soprattutto adesso con l’emergenza sanitaria, costante confronto con i sindacati e aumenti in busta paga. Gli aderenti a Cgil, Cisl e Uil ritengono insufficienti le risorse stanziate dal governo che nella manovra di bilancio ha inserito 400 milioni.
Le critiche allo sciopero
Non si sono fatte attendere le numerose critiche contro l’opportunità di dichiarare uno sciopero dei servizi pubblici in un momento di difficoltà per il Paese. Dal M5S a Giorgia Meloni, fino al presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che sottolinea come i lavoratori pubblici siano stati quelli meno colpiti dalla crisi. Il che ha riaperto una ferita mai chiusa in Italia quella relativa al trattamento economico e alle tutele dei lavoratori pubblici e di quelli privati.
Uno studio dell’Osservatorio sui conti pubblici diretto da Carlo Cottarelli sintetizza come le retribuzioni del settore statale in Italia siano in linea con quelle di altri paesi europei e superiori a quelle dei privati: ad oggi il differenziale sarebbe del 24% (36.350 euro lordi l’anno contro 29.260). Il dato dei 36.000 euro (riferito al 2018) è confermato da Aran, l’agenzia che rappresenta lo Stato alle trattative .
Un altro studio, questa volta della Cgia di Mestre, sottolinea come dal 2010 al 2017 gli stipendi pubblici siano rimasti bloccati. Nel 2016 Cgia calcolava che il differenziale tra pubblico e privato era sceso a 600 euro l’anno mentre nel 2010 era di ben 4.244 euro. “Pur essendoci stato un allineamento delle retribuzioni tra i due settori – segnalava il coordinatore dell’Ufficio studi Cgia Paolo Zabeo – ricordo che i dipendenti pubblici lavorano mediamente 36/38 ore alla settimana, mentre i lavoratori del privato stanno in fabbrica o in ufficio per almeno 40 ore”.
Il rischio è che questo sciopero possa trasformarsi in una lotta di classe, che adesso sarebbe dannosa e toglierebbe tante energie al Paese, dal momento che metterebbe gli uni contro gli altri i lavoratori pubblici e quelli privati, a farebbe perdere quella poca fiducia nella Pubblica Amministrazione che gli Italiano hanno già dimostrato di avere.
Lucrezia Melissari