La notizia non ha sinora provocato clamore, indignazione o particolare interesse dei media. E proprio questo silenzio deve far riflettere sulla situazione in cui versa ormai la questione razziale negli Stati Uniti; esacerbata dal caso George Floyd, brutalmente cavalcata dalla politica, dallo show-business e dallo sport; e oggi giunta ad una drammatica deriva.
L’odioso omicidio dell’afroamericano di Minneapolis, circa un anno fa, oggi porta infatti ad una conseguenza altrettanto tragica. A New York, una giovane donna nera al volante della sua macchina, ha investito, sembra volontariamente, un poliziotto bianco che si trovava impegnato ad effettuare dei rilievi di un incidente stradale. In lieve stato di ebbrezza al momento dell’impatto, la donna, solo poche ore prima, aveva trasmesso un video messaggio social in cui si scagliava contro i poliziotti.
L’uomo, Anastasio Tsakos, lascia la moglie e due figli piccoli. Una famiglia distrutta, incolpevole vittima di una spirale d’odio che parte dalle violenze della polizia negli Stati Uniti e che ora si rivolta contro gli stessi poliziotti. Giustificata, e qui risiede la gravità, da una narrativa che nell’ultimo anno ha visto la glorificazione di un movimento, il Black Lives Matter, partito con un nobile fine ma degenerato in violenza, odio razziale e suprematismo nero.
La durezza con cui “la più grande democrazia del mondo” sta colpendo l’agente Chauvin, colpevole di aver ucciso in maniera terribile George Floyd, dovrà essere adottata anche nei confronti di chi mal interpreterà il desiderio di giustizia e parità razziale. Lo scontro sociale, negli Stati Uniti, è sempre dietro l’angolo.
Federico Kapnist