Correva il 2014. E nel pieno deflagrare della guerra in Siria, con le armate nere dell’ISIS che seminavano il terrore conquistando sempre più porzioni di territorio, una voce, per lo più inascoltata, si levò, lanciando un preciso monito all’Occidente.
La voce era di Bashar al-Assad, il “sanguinario dittatore siriano”. Che, sul terrorismo islamico (un incubo che la Siria stava sperimentando a carissimo prezzo), diceva una cosa chiara e semplice: “è come uno scorpione, e se te lo metti in tasca prima o poi ti pungerà”.
Nella narrativa occidentale, si è creduto per anni che Assad combattesse, reprimendo con ferocia, formazioni democratiche che sognavano un futuro più libero e progredito per la Siria. In realtà, la stragrande maggioranza dei nemici del regime di Damasco era costituita da fondamentalisti islamici: ISIS, al-Qaeda e la sua costola Jabat al-Nusra, e tanti altri gruppi minori della galassia islamista. I cui membri, in Siria, si sono resi responsabili degli stessi, atroci delitti per i quali oggi l’Occidente rimane a bocca aperta quando avvengono nelle sue città; come a Parigi, come a Nizza.
Ma la Francia è tra i primi responsabili dell’atroce deriva della guerra in Siria e, più in generale, della crescita islamista nel Mediterraneo. Non paga di aver spinto più di chiunque altro per abbattere Gheddafi – con il risultato di fomentare il terrorismo islamico anche in Libia, dove non esisteva, e permettere a migliaia di elementi pericolosi di riversarsi in Europa – ha appoggiato i terroristi in Siria per abbattere Assad. Insieme ad un’improbabile coalizione di cui l’Occidente ha solo di che vergognarsi, ma che per motivi energetici (il passaggio di oleodotti in territorio siriano) e geopolitici (assestare un colpo all’Iran e i suoi alleati) non ha esitato a servirsi di questi mercanti di morte per i propri, biechi fini economici e politici. Ecco la metafora dello scorpione citata da Assad.
Perché con più di mille guerriglieri partiti dai suoi confini per andare a combattere in Siria (e molti di essi tornati in patria con l’esperienza accumulata sul campo di battaglia) la fragilissima tenuta sociale della Francia, colpevole di aver creato ghetti dove serpeggia l’odio e si fiancheggia il terrorismo, è ora a rischio.
Si deve guardare all’esempio francese come una sorta di vademecum su quello che bisogna non fare per ritrovarsi nella situazione sociale in cui versa, da anni, il Paese transalpino. Oggi Macron alza giustamente la voce di fronte all’intollerabile violenza e il suo popolo piange le vittime di una follia atroce e malata. Ma sono lacrime di coccodrillo.
Lo scorpione ha ripreso a pungere.
Federico Kapnist