Come tante delle guerre africane, è il silenzio a impressionare. Un silenzio che nasconde atrocità e un numero imprecisato di morti; dovuti all’impossibilità di poter documentare dal vivo la vicenda e dal relativo, scarso interesse che suscita nelle potenze mondiali.
Lo scontro iniziato nello scorso novembre – quando il premio Nobel per la Pace e premier dell’Etiopia, Abiy Ahmed, aveva ordinato la repressione del Tigray e del suo Fronte Popolare di Liberazione per punirlo del mancato appoggio a livello politico – sta ora conoscendo una nuova fase di recrudescenza. E, a quanto riportano le scarse notizie che giungono dall’ex colonia italiana, un ribaltamento dell’esito degli scontri.
Il cessate il fuoco è oramai definitivamente abbandonato. E le forze tigrine, minoranza nel Paese ma ben armata ed equipaggiata, dopo alcuni rovesci iniziali stanno riconquistando i territori perduti nelle prime settimane del conflitto. Per questo motivo, le autorità della regione di Amhara – a Nord dell’Etiopia e fedeli al governo centrale di Addis Abeba – hanno mobilitato l’intera popolazione a prendere le armi contro il Fronte del Tigray per quella che è stata definita una “campagna di sopravvivenza”.
Gli appelli della comunità internazionale sono stati per ora inascoltati; mentre si contano già oltre due milioni di profughi e di migliaia di morti su entrambi gli schieramenti.
Federico Kapnist