Se il politicamente corretto, così caro ai democratici, doveva ispirare i primi passi da presidente di Joe Biden, la missione è decisamente compiuta. Quel che semmai lascia sospettosi, è capire se dietro al paravento della correttezza e della parità di genere, ci saranno anche competenza e intenti pacifici.
Tra le scelte per le posizioni chiave della squadra presidenziale, è tutto un fiorire di donne e di minoranze; con la componente WASP (White AngloSaxon Protestant) lasciata ai margini e il solo Biden a rappresentarla. Dalla vicepresidente Kamala Harris – prima donna nera a ricoprire tale ruolo – a Linda Thomas–Greenfeld come ambasciatore all’ONU; da Neera Tanden, all’Ufficio Gestione e Bilancio della Casa Bianca, agli ispanici Xavier Becerra e Alejandro Mayorkas, rispettivamente come ministri della Sanità e per la Difesa Nazionale.
Ma è stata una nomina in particolare, a meritarsi una pungente e lucida inchiesta da parte del celebre reporter di guerra, Gian Micalessin, sulle colonne de Il Giornale. Lloyyd Austin, generale afroamericano ora in pensione, nominato Segretario della Difesa. In altre parole, a capo del Pentagono e quindi di tutte le forze armate statunitensi.
Austin ha però una macchia sul suo curriculum, una macchia gravissima e che lascia capire la sprovvedutezza – sperando non la malafede – dietro le azioni di Washington nel Medio Oriente degli anni scorsi. Ai tempi dei celebri “ribelli moderati”, con cui una coalizione arabo-occidentale provava ad abbattere il governo di Assad in Siria, Austin dovette ammettere pubblicamente che non sapeva più che fine avessero fatto quasi 5.000 combattenti da lui addestrati. A carissimo prezzo, tra l’altro; perché l’operazione era costata qualcosa come 500 milioni di dollari. Quei combattenti, si scoprì in seguito, avevano ringraziato gli americani per l’addestramento e le armi; e se n’erano poi andati ad ingrossare le fila di al-Qaeda e dello stato islamico.
A giudicare però dal prestigiosissimo incarico destinato oggi ad Austin, non sembra la cosa abbia scandalizzato più di tanto gli americani. E non li ha scandalizzati nemmeno il fatto che il generale in questione sedesse nel board della Raytheon, azienda famosa per la produzione delle “bombe intelligenti”, protagoniste negli anni addietro di massacri di civili in mezzo mondo.
Quel che lascia dubbiosi, semmai, è l’idea oramai diffusa, Oltreoceano, che a discapito dei “maschi bianchi” più aggressivi e militaristi, neri e donne incarnino automaticamente i valori della pace. E che per la fine delle ostilità nel mondo, ci si debba quindi rallegrare a priori per le loro nomine in nelle posizioni di comando.
Se la memoria però non inganna, i due segretari di stato della famigerata epoca Bush – con cui iniziarono i disastri afghano e iracheno – erano rispettivamente Condoleeza Rice (donna, nera) e Colin Powell (nero), quest’ultimo rimasto celebre per le prove inventate contro Saddam Hussein.
Se a loro si sommano gli otto anni di Barack Obama e le guerre da lui iniziate e portate avanti, ecco che allora il sospetto sempre più forte è che a Washington, bianchi, neri o verdi che siano, il vizio di fare la guerra in giro per il mondo, non passi mai.
Federico Kapnist