Ad un clamoroso ribaltone erano rimasti veramente in pochi a crederci. Forse nemmeno lo stesso Trump; che, forte dell’amarissima consolazione di essere il perdente più votato della storia americana, lottava e si dimenava nella speranza che qualcosa potesse spostare quei 4 milioni di voti che lo separavano da Joe Biden. Il futuro presidente.
Brogli, morti che votano, schede fantasma, voti mai arrivati; se ne sono sentite di tutti i colori, in questi venti giorni. Chi ne esce sconfitto, un’altra volta, è probabilmente il sistema elettorale americano, quello della “più grande democrazia del mondo”: che aveva fatto vincere Trump contro Hillary Clinton con 3 milioni di voti in meno e che, oggi, deve attendere quasi due mesi dall’inizio delle elezioni per decretarne con certezza il risultato (da inizio ottobre, quando la gente ha iniziato a votare per posta).
Ma cos’è successo di preciso? Qual è stata la molla che ha fatto scattare la resa del battagliero Trump, che sembrava non voler mollare l’osso ad ogni costo? È successo che lo stato del Michigan ha decretato l’ufficialità della vittoria di Biden, con uno scarto di oltre 150.000 voti. E tanto è bastato per dare il via libera da parte del GSA (General Services Administration, l’agenzia federale preposta al passaggio di consegne tra i presidenti) e, di conseguenza, da parte di un Trump in versione Brontolo. Che, continuando a parlare di brogli, corruzione e frodi ha dovuto – seppur in modo indiretto – riconoscere che ha perso le elezioni. “Che Emily [Murphy, a capo del GSA] e la sua squadra facciano quello che dev’essere fatto”.
Il Michigan decreta quindi la parola fine alla presidenza Trump, senza che vi sia bisogno di aspettare gli ulteriori conteggi richiesti a gran voce anche in Pennsylvania, Georgia (in questo caso un ri-riconteggio) e Wisconsin. E ora?
Ora che il GSA ha dato il via libera all’avvicendamento, sulla base di “recenti sviluppi su aspetti legali e certificazioni dei risultati elettorali”, Biden sente davvero profumo di Casa Bianca: da oggi avrà accesso alle riunioni di massima sicurezza e incontri ai vertici di governo, nell’attesa della sua proclamazione a gennaio. Una sorta di ritorno all’ovile per colui che è stato il vice, per ben 8 anni, di Barack Obama.
Federico Kapnist