Posizione invidiabile, quella di Erdogan. Sempre più spregiudicato, abilissimo e turco nel midollo. Il Sultano vive nella più confortevole sicurezza di poter fare qualunque cosa all’interno (e non solo) dei propri confini sapendo che nessuno avrà mai e poi mai il coraggio di opporglisi seriamente.
Non gli si oppone la Russia di Putin, che ha bisogno dei suoi acquisti di armamenti e delle sue preziose oscillazioni tra Oriente ed Occidente; le quali, spesso sfociano in alleanze di comodo quanto mai fondamentali in teatri importanti per la politica estera di Mosca (vedi Siria e Caucaso).
Ma soprattutto non gli si oppongono Unione Europea e Stati Uniti, che pure sul tema dei diritti civili fondano il proprio soft-power e si vantano di essere avanti anni luce rispetto alla “retrograda e barbara” Russia. La prima, l’UE, terrorizzata dal ricatto dei migranti, preferisce pagare miliardi di euro e tacere su ogni violenza contro dissidenti e oppositori politici. Gli Stati Uniti, invece, sanno che il formidabile baluardo turco nel Mediterraneo orientale è troppo importante in chiave anti-russa, per lasciarsi andare a smielati rimproveri su cosa è giusto, e cosa non è giusto, fare a casa propria.
Erdogan tutte queste cosette le conosce fin troppo bene; e di conseguenza si comporta. Nella giornata di ieri, ha voluto infatti lanciare un segnale preciso verso nuovi, possibili tentativi di rovesciarlo: il maxi-processo sul golpe del 2016, e iniziato l’anno successivo, ha comminato 337 nuovi ergastoli, di cui parecchi aggravati, ossia isolamento a vita. Una sottilissima e atroce condanna a morte in stile squisitamente “turco”, inteso come proveniente dal Turkestan; la regione dell’Asia centrale da cui hanno origine i turchi odierni e celebre, storicamente, per le atroci punizioni.
Certo, un golpe è pur sempre un golpe e qualunque stato degno di tale nome lo combatterebbe duramente. Ma quel che è accaduto ieri in Turchia è solo l’ultimo tassello di un lungo processo di “erdoganizzazione” del Paese e di una violentissima repressione di ogni forma di dissidenza rispetto ai diktat del Presidente. I 337 ergastoli si aggiungono ai 2500 già precedentemente sentenziati; e alle altre migliaia e migliaia di oppositori politici che languono in carcere nel silenzio più totale da parte di un Occidente stanco e succube.
Sempre ieri, nuovi arresti sono scattati per altri oppositori: politici, giornalisti e membri di ONG. Nessuno ha per caso sentito indignarsi qualche paladino dei diritti umani di casa nostra?
Federico Kapnist