Il Veneto è per antonomasia terra attenta e sensibile al volontariato. Parte di questo volontariato passa per l’associazionismo cattolico, che tra le sue fila vanta numerose persone che hanno scelto di aiutare il prossimo in contesti lontani e difficili.
Due di queste, originarie dell’Alto Vicentino, sono state vittima di orrendi crimini negli ultimi giorni. Il primo, purtroppo con un tragico epilogo, ha riguardato una suora laica di Schio, Nadia De Munari; il secondo, per fortuna non fatale, un prete di Piovene Rocchette, Christian Carlassare.
La missionaria laica, 50 anni, descritta da tutti come una persona mite e che ha dedicato la sua intera vita ai meno fortunati, è stata uccisa a Nuevo Chimbote, in Perù. Una fine barbara; colpita con il machete durante il sonno e deceduta dopo giorni di agonia nell’ospedale della capitale, Lima, dove era stata trasportata in condizioni disperate dopo l’attacco. Ignoti, ancora, i motivi dietro l’aggressione; non si sa se una rapina finita male o, come spesso accade in simili contesti, se proprio uno dei bisognosi a cui la volontaria prestava aiuto, le si sia rivoltato contro. Sgomento e disperazione tra i familiari di Schio, che l’hanno prontamente definita una “martire”.
Per padre Christian, invece, 43enne fresco di nomina a vescovo nella diocesi di Rumbek, nel difficile Sud Sudan, un vero e proprio attentato intimidatorio. Il prete comboniano è stato picchiato e poi gambizzato, con quattro colpi sparati alle gambe; insieme a lui è stata picchiata anche una suora. L’attentato, su cui ora le autorità locali stanno indagando, sa di ostilità verso le politiche umanitarie condotte dai preti comboniani nel Paese. Il prete vicentino sarebbe dovuto essere consacrato ufficialmente vescovo nei prossimi giorni; dopo che lo scorso 8 marzo aveva ricevuto la nomina direttamente da Papa Francesco. Diventando, così, il più giovane vescovo italiano al mondo. Padre Christian non si trova più in pericolo di vita; le sue parole di conforto sono state: “Pregate non tanto per me ma per la gente di Rumbek che soffre più di me”.
Federico Kapnist