Il gruppo di ricerca della Professoressa Monika Fuxreiter del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova ha recentemente definito un algoritmo che potrebbe avere un ruolo fondamentale nello sviluppo di terapie per il trattamento e la cura di patologie oncologiche e neurologiche, quali la SLA. La ricerca è stata pubblicata sull’autorevole rivista scientifica «PNAS» – Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America – e vede la collaborazione del Centre for Misfolding Diseases dell’Università di Cambridge nel Regno Unito.
Se ritorniamo ai nostri studi scolastici sulla struttura cellulare, ricordiamo quel gran numero di organelli che popolano la cellula (nucleo, mitocondri, ribosomi, lisosomi) ciascuno sede di un processo fondamentale per l’attività vitale della stessa. Questi organelli sono organizzati in una struttura subcellulare ben riconoscibile dal resto perché delimitata da una membrana. Oltre a definire la struttura dell’organello, la membrana lo protegge e gli permette di controllare l’interazione con l’ambiente cellulare circostante, un ruolo analogo a quello svolto dalle mura fortificate di una città medievale.
Oltre a quelli descritti, di recente sono state identificate anche altre strutture prive di membrana – organelli non membranosi – in grado di svolgere importanti funzioni biologiche relative all’elaborazione del DNA e alla risposta a condizioni di stress cellulare come la mancanza di nutrienti o l’attacco da parte di patogeni. Se osservati all’interno della cellula, questi ultimi, non si presentano come unità definite, ma appaiono invece come piccole goccioline sospese. Questi organelli sono privi di “fortificazioni” e le ragioni ipotizzabili sono molteplici: le loro funzioni prevedono scambi molto più dinamici con l’ambiente cellulare oppure hanno la necessità di essere assemblati e disassemblati velocemente.
Fino ad oggi, però, non c’erano molte informazioni sul perché le proteine dessero forma a questi organelli “liquidi”, né quante delle proteine umane siano effettivamente coinvolte in questo fenomeno. L’innovativa ricerca del team dell’Università di Padova ha evidenziato che la maggior parte delle proteine umane è in grado di dare luogo a queste “goccioline” e che il 40% di esse può dare origine a degli organelli non membranosi separati all’interno della cellula.
Visto che molti disturbi neurologici, come la sclerosi laterale amiotrofica, e alcuni tipi di tumori sono causati dalle proteine che formano queste goccioline allora una previsione del loro comportamento aiuterebbe ad identificare i potenziali siti bersaglio dei farmaci.
Queste informazioni ci permettono di comprendere come l’organizzazione interna della cellula sia assai più complessa di quanto ritenuto fino ad ora. Il fenomeno degli organelli non membranosi è molto più diffuso di quanto si pensasse e l’aspetto della cellula muta velocemente al cambiare delle condizioni, così da rispondere in modo più efficace a situazioni di stress. I ricercatori hanno anche sviluppato un algoritmo in grado di identificare le regioni delle sequenze proteiche coinvolte in questi processi, aprendo così a nuove interessanti prospettive di ricerca di ambito farmacologico sia per la cura di patologie che coinvolgono questi organelli nelle cellule umane sia per l’elaborazione di nuovi metodi per la somministrazione di farmaci.