Recentemente è stato pubblicato uno studio, ancora in fase preliminare, sulla rivista MedRxiv, che riguarda la “variante brasiliana”. È stato realizzato dalla Federal University of Paranà, dal Cincinnati Children’s Hospital in collaborazione con l’Università di Verona.
La ricerca, che ha esaminato oltre 500mila casi di Covid-19, nello stato del Paranà, nel sud del Brasile, quando la variante P1, cioè quella “brasiliana”, era ormai considerata pressoché endemica perché diffusa in oltre il 70% della popolazione, ha evidenziato che in tutte le fasce di età, questa variante P1 sembra associarsi ad una percentuale di mortalità più alta. Inoltre l’incremento dei decessi appare fino a tre volte superiore nei pazienti della fascia d’età compresa tra i 20 e i 29 anni.
Pertanto ciò avvallerebbe la tesi che tale variante P1 “non solo potrebbe essere più contagiosa, ma anche maggiormente virulenta e patogena”. In Veneto per fortuna è considerata ancora molto rara, arrivando a colpire non più dell’1% della popolazione, “ma bisogna stare attenti, perché potrebbe crescere, perché ha lo stesso vantaggio competitivo di quella Inglese”, come spiega il professor Giuseppe Lippi, direttore della sezione biochimica clinica dell’ateneo veronese e, attualmente lo studioso italiano più citato in ambito accademico per quanto riguarda gli studi sul virus Sars-Cov2, con particolare riferimento alla diagnostica.
E anche se a livello veneto e veronese si registra un predominio della variante inglese, che ha una diffusione attorno al 90%, mentre la brasiliana è quasi assente, “in certe regioni come la Toscana, la variante P1 si avvicina al 10% e, per questo potrebbe essere pericoloso riaprire la circolazione tra regioni proprio ora” sottolinea Lippi.
Pertanto, “anche se parliamo di dati preliminari, questi risultati suggeriscono la necessità di instaurare un sistema di monitoraggio costante della diffusione delle varianti di Sars-CoV-2, aggiungendo enfasi alla necessità di procedere celermente con le vaccinazioni, affinché si possa minimizzare il rischio che ceppi particolarmente virulenti, come oltre a questa anche quella Sudafricana possano insorgere e diffondersi nella popolazione. A Verona stiamo lavorando molto sul sequenziamento genetico del virus, che con la campagna vaccinale, rappresenta la strategia che ci consentirà di porre termine alla pandemia”, ha concluso il professor Lippi.