Il Covid-19, oltre a provocare la morte di centinaia di migliaia di persone, ha assestato un colpo formidabile all’economia mondiale fondata sulla globalizzazione. Ossia, quell’interdipendenza socio-economica che lega praticamente ogni Paese all’altro e che rende il nostro pianeta una sorta di “villaggio globale”; come definito, in tempi ancora non sospetti, dal sociologo canadese Marshall McLuhan.
I lockdown (più o meno duri) che hanno coinvolto tutto il mondo e il drastico calo nei viaggi di persone e merci, hanno infatti messo in “pausa” un sistema sempre più connesso e che sembrava non conoscer limiti alla sua crescita; portando a chiederci, in certi momenti, se fossimo addirittura arrivati alla fine di quel mondo veloce, iper connesso e capace di travalicare ogni confine.
Eppure, proprio un frutto della globalizzazione sembra poter salvare il mondo. Che, in queste settimane, sta ripiombando nell’incubo Covid a causa della seconda ondata (o della scia della prima, a seconda delle scuole di pensiero). Il vaccino annunciato dalla Pfizer – storica azienda farmaceutica americana fondata a metà del XIX secolo da due immigrati tedeschi – è infatti scaturito dalla collaborazione con un’altra azienda; ben più piccola ma altrettanto innovativa, la Biontech. Questa azienda, fondata in Germania da due coniugi di origine turca – Ugur Sahin e Oezlem Tuereci – sta infatti portando alla luce l’attesissimo vaccino dopo mesi di studi e sperimentazioni, iniziati immediatamente a seguito del diffondersi dell’epidemia in Cina.
Basato, in parole semplici, su di una tecnologia che va a colpire il virus impedendogli il legame con le cellule umane (e di conseguenza l’infezione) è al momento nella fase 3; l’ultima e definitiva. Che, se dovesse essere superata con successo – come annunciato e con un’efficacia del 90% – porrebbe una pietra tombale non sul virus in sé, ma bensì sull’enorme letalità di quest’ultimo per le fasce più a rischio. Portando al tanto agognato alleggerimento per le strutture sanitarie e, di conseguenza, all’abbandono delle misure draconiane che stanno mettendo in ginocchio le vite e le economie di mezzo mondo.
Se la cosa dovesse quindi andare in porto, come tutti auspicano, il merito sarà di un’azienda tedesca fondata da due figli di immigrati turchi, in stretta collaborazione con un’azienda americana fondata a sua volta da immigrati tedeschi negli Stati Uniti.
E a prescindere da come la si possa pensare sulla globalizzazione e su alcuni suoi aspetti non sempre edificanti, è comunque originale e curioso scoprire come il sistema che stava andando in crisi, stia partorendo la soluzione proprio dall’interno delle dinamiche che l’hanno originato.
Federico Kapnist