Proprio nei giorni in cui a Vicenza è giunto a conclusione il primo grado del processo per il crac di Banca Popolare di Vicenza, sul fronte trevigiano, per quanto concerne l’altra popolare, Veneto Banca, sembrerebbe aggravarsi la posizione dell’ex amministratore delegato, Vincenzo Consoli, che a poche settimane dall’avvio del processo per il default della “sua” banca, per i reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto, potrebbe ritrovarsi sotto inchiesta anche per associazione a delinquere finalizzata alla truffa, con altri cinque ex manager della banca di Montebelluna.
Secondo una perizia disposta dalla Procura di Treviso, sarebbe emerso che tra il 2012 e il 2014 Veneto Banca avrebbe venduto nelle sue filiali piemontesi azioni “gonfiate” del 79%, ossia al prezzo di 40 euro anziché a quello del loro valore reale di 8 euro.
Il procuratore Massimo De Bortoli e il sostituto Gabriella Cama hanno appena concluso un’indagine di un nuovo filone, che coinvolge oltre a Consoli anche l’ex condirettore Mosè Fagiani; l’ex responsabile della Direzione pianificazione-controllo Renato Merlo; l’ex responsabile della Direzione amministrativa Stefano Bortolo; l’ex responsabile Direzione compliance Massimo Lembo e l’ex responsabile “Mercato Italia” Cataldo Piccarreta.
Secondo l’impianto accusatorio della procura trevigiana il dominus assoluto dell’operazione sarebbe stato Consoli, coadiuvato da un gruppo di esecutori, che si sarebbero mossi “in base alle funzioni apicali rivestite all’interno dell’istituto bancario”, traendo così in inganno direttori e funzionari ignari, definiti dalla Procura, “strumento inconsapevole per mettere in atto piani illeciti”. Un sodalizio criminoso, che nascondendo la reale situazione patrimoniale e finanziaria, aveva come unico scopo quello di truffare i soci.
A confermare l’impianto accusatorio della Procura di Treviso è stata la perizia del professor Angelo Maglietta, docente di Economia e Management allo Iulm di Milano, che avrebbe confermato che il valore delle azioni era stato gonfiato di circa il 77%-79%, senza alcuna giustificazione, se non appunto quella di raggirare consiglio di amministrazione e assemblea dei soci, “convinti a mantenere alto il valore delle azioni sulla base di pianificazioni aziendali e dati di bilancio e previsionali non corrispondenti alla realtà, eccessivamente ottimistici, irragionevoli e inattendibili”.