L’altro giorno, quando sono state alzate tutte le 78 paratoie del Mose, Veneziani e turisti sono rimasti stupiti nel vedere, in piazza San Marco, solo qualche pozzanghera dovuta alla pioggia battente, ma già ieri, con una marea più bassa, tale da non richiedere la protezione della diga mobile, una parte della città, anche se in maniera lieve, è stata nuovamente sommersa.
Allora il cittadino comune si interroga sul perché, dopo aver visto la presentazione di un progetto di lastre di vetro a protezione della basilica di San Marco, qualcuno continui a rallentare, se non ad ostacolare il progetto. Non conoscendo i retroscena, diventa difficile esprimere un giudizio, ma forse, ripercorrere i fatti potrebbe essere d’aiuto.
Secondo Tomaso Montanari, presidente del comitato tecnico-scientifico per le Belle Arti, tempo fa, la Procuratoria di San Marco aveva redatto un progetto dell’architetto e, procuratore, Mario Piana e dell’ingegnere Daniele Rinaldo, che si erano inventati l’idea delle lastre di vetro.
Quando successivamente il progetto venne presentato al comitato tecnico-amministrativo del Provveditorato, il commissario del Mose, Elisabetta Spitz, disse che non le piaceva e, così fu dato incarico all’architetto Stefano Boeri di “abbellirlo”, giustificandolo, a posteriori, con una nota di correzione di alcuni aspetti da parte dei due comitati.
Ma Montanari non ci sta e controbatte che quelli dei comitati erano solo dei suggerimenti, delle piccole modifiche e, che, se il progetto fosse stato semplicemente corretto, il cantiere avrebbe potuto partire nel luglio scorso. “Invece è stato presentato un altro progetto, incompiuto, così anziché un passo avanti, se ne è fatto uno indietro”.
Boeri si è difeso dicendo, che quello presentato non era il loro, ma “una terza via”, un mix tra il loro progetto e “l’ingegnerizzazione” di Rinaldo, che a sua volta, piccato ha risposto che, “la funzione dell’opera è, e rimane fondamentalmente idraulica”.
Insomma, non sarà come diceva stamattina la Presidente del Senato Casellati, in un’intervista sul Corriere, che le troppe carte della burocrazia sono diventate un freno per la produttività?