Da oppressi ad oppressori, si potrebbe dire. I ribelli Houthi, hanno intensificato negli ultimi tre mesi gli attacchi contro le forze governative – sostenute da una coalizione composta da sauditi ed emiratini – spingendosi ad attaccare, in diverse occasioni, lo stesso territorio arabo.
Obiettivo dei ribelli, oltre al governatorato di Ma’rib rimasto in mano ai lealisti del presidente Hadi, alcuni impianti petroliferi del colosso Saudi Aramco, in Arabia Saudita, colpiti da droni e missili balistici. Gli Houthi sembrano non volersi fermare proprio ora, approfittando del freno imposto ai sauditi, principali responsabili delle violenze durante i cinque anni di guerra, da parte di Washington. Occupare più territorio possibile per sedersi al tavolo delle trattative in posizione più vantaggiosa; questo sembra essere il mantra dei ribelli.
Ribelli che però, così facendo, stanno iniziando ad indispettire buona parte della comunità internazionale occidentale; sinora più rigida nei confronti dei sauditi e dei loro metodi truculenti adottati nei confronti dei civili. L’inviato speciale per le Nazioni Unite in Yemen, Martin Griffiths, ha incassato le numerose condanne provenienti da Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti; esortando gli Houthi a interrompere immediatamente la propria offensiva.
Nessuna parola di condanna sembra però convincere i ribelli a fermarsi; nemmeno quella proveniente dal Consiglio di Sicurezza e tantomeno quella di Washington. Espressa in Oman, durante un incontro dello scorso 11 aprile, da parte dell’inviato speciale di Washington, Timothy Lenderking. Gli Houthi vogliono l’area di Ma’rib; e niente e nessuno, per il momento, sembra essere in grado di fermarli.
Federico Kapnist